Da un anno, o qualcosa di più. Di là, sotto al televisore. Spento, come sempre. Vicino ad altre robe, tipo la venticinquesima ora, tipo a me gli occhi please. Vicino alla meraviglia Netrebko Villazon a Salisburgo che ridanno vita a Traviata. E identicamente trascurato, da chi scrive.
Di là, vicino ad altre meraviglie, sotto a un televisore che resta così spesso spento, alberga un dvd. In copertina un cuore, fatto di carta di giornale.
Demetrio Stratos, tutta Italia lo conosce per una canzone. Che si chiama Pugni Chiusi, quasi come il film di Bellocchio (i pugni in tasca), di quei tempi lì. E canta con mi pare I Ribelli. Uno dei mille gruppi beat, di quegli anni. Però, questo gruppo - uno dei tanti - una roba strana ce l'ha. Un cantante, dicono di origini greche, che insomma, non è uno dei tanti imitatori di quelli di Oltre Manica. E nemmeno di quelli di Di Qua Dell'Alpe. Non ci vuole una scienza, come si dice qui, per capirlo. Nemmeno sapere di musica. Lo si sente, lo si respira. E ti rimane in testa. Ti rimane dentro.
Dove finiscano i Ribelli non lo so. E - francamente - nemmeno mi interessa.
Demetrio lo si ritrova qualche anno dopo. Canta con gli Area. Questo International POPoular Group.
Io - sinceramente - ero troppo giovane per capirlo. E oggi forse troppo vecchio, per tornare indietro e riuscire a capire. Boh, sia come sia. Sta di fatto che gli Area fanno parecchi dischi. Fanno alzare il pugno, orgoglioso, a parecchi. Destano perplessità a parecchi altri. Sì, vabbé, va bene Caos, al Parco Lambro, ma vuoi mettere i Kaos Rock di Basta Basta Non Ce La Faccio Più? Questa è la vita. Robe così, anni così. Poi - per carità - Luglio Agosto, Settembre (nero), Gioia E Rivoluzione, La Mela Di Odessa, e certo, L'Internazionale, solo per citare le prime tre cose a mente, ma vuoi mica dire di no? No, non lo dici di no. Vabbé, perdoniamogli pure il resto. D'altra parte, innegabilmente, quelli là che ne dicono male sono il giornale di Bertoncelli, persino Guccini lo manda a quel paese.
Qualche tempo dopo, ma l'effetto orizzonte schiaccia tutto, Demetrio comincia a fare robe sue. Cantare la voce, quelle robe lì. I fonemi. Tre voci insieme, robe mai più né prima né dopo sentite. E poi - pare quasi una conseguenza, almeno oggi - poi sta male. Leucemia, o robe così. E lo curano. Però, privo di difese immunitarie, se gli viene qualcosa, muore. E si decide. Un concerto. Per raccogliere i fondi per aiutarlo. Si fa. All'Arena di Milano. Al Concerto non ci arriva.
Il 14 di giugno del 1979, a Milano, sembra bel tempo. Io ho sedici anni. E ci vado. Ci vado tipo alle due del pomeriggio. Mica mi ricordo quanto costasse. Ma di sicuro non tantissimo. Non le duemilacinquecento lire del concerto di Santana al Vigorelli, che causarono le ire degli autonomi. Insomma, una cifra accettabile. Ci vado, con tre amici, più grandi di me. E arriviamo primi. E ci intervistano, anche, a Radio Popolare, mentre siamo lì. E chi lo sa cosa gli diciamo.
Ma entriamo. E siamo sotto il palco. Proprio sotto. Quasi meglio del Blue Note (ma mica lo sapevo, allora). Poi ci sono tre gocce, dicasi tre gocce di pioggia. E noi ci diciamo scemi, non ci siamo portati niente per proteggerci, qua dobbiamo starci tutta la notte, mica si può. Cerchiamo un posto riparato. E scappiamo. E andiamo tipo a metà Arena. E da lì, maledicendoci per tutta la serata lo vediamo, il Concerto.
Ecco, di quel Concerto lì, ci sono tre o quattro cose che non dimenticherò mai. La foto, che mi riprendeva, me e quegli scemi dei miei amici, apparsa sul Giorno. L'intervista a Radio Popolare, che eravamo imbarazzatissimi per avere appena fatto una scoperta legata all'universo femminile. Il cappellino, non ancora roba commerciale, ma autenticamente italico, che indossava mio fratello, e che ci permise di riconoscerci, in quella foto di cui sopra. Eugenio Finardi, che canta Hold On. Massimo Villa, che presenta il concerto, e chiede un lungo, e lui vorrebbe fosse interminabile, applauso per Demetrio.
Eugenio Finardi che canta Hold On.
Nello scrivere qua, ho dato un occhio. A chi cavolo di altri ci avesse suonato, in quel Concerto. E qualche cosa è da tuffo al cuore. Qualche cosa da quanto cavolo sei vecchio, mica te lo ricordi più.
Ecco. Sta lì. No, per meglio dire, di là. Sotto al televisore. Insieme ad altre meraviglie. Identicamente trascurato. Dentro di me. Tutto qua. Qualche tempo fa, forse l'anno scorso, uscì insieme a un giornale. Non potevo non comprarlo. Non l'ho mai messo. Mai.
Io non c'ero. Sono stata per la prima volta a Milano non più tardi di un paio di settimane prima, il due giugno, e ci sono tornata, per passarci qualche giorno, il 2 luglio. Questa cosa me la sono proprio persa.
E' accaduto che, tempo dopo, direi un anno o due dopo, una notte, ho visto alla televisione un programma su questo concerto.
A me capita spesso di guardare la tivù di notte, alle volte ci sono delle magnifiche cose: e se ti capita di inciampare sul Concerto per Demetrio Stratos, Arena di Milano 14 giugno 1979, allora è chiaro che non si va a dormire.
Demetrio era ammalato: il concerto era stato deciso per raccogliere fondi per pagare le sue cure. Soltanto l'elenco di gente che ha il nome sulla locandina dovrebbe far capire la partecipazione, vera, dei musicisti. Comunque a me non è mai sembrata una di quelle fiere della vanità che spesso si sono viste negli anni successivi.
Di quello che ho visto, la cosa alla quale penso è sempre, inevitabilmente, questa.
Eugenio Finardi, che non è mai stato un amore per me, inizia la sua esibizione con una canzone che io non dimenticherò mai. Mi è venuta in mente mille volte.
Lui è sul palco, seduto, con la chitarra, muove molto la mano sinistra come se volesse già suonare, e non dice molte parole, non ne ha, non ce ne sono. Demetrio è morto appena il giorno prima. Sembra quasi scusarsi. Con quel titolo, la sua prima canzone potrebbe sembrare fuori luogo. Davvero, ma cosa vai a dire “tieni duro”: lo sai, lui è già morto. Insomma, cercate di capire, è passato un mese da quando il concerto era stato deciso...
Nella brevissima presentazione, Finardi ci piazza anche un bel “al limite”. Eh, erano gli anni in cui quella era una espressione utilizzata per introdurre nel ragionamento qualsiasi cosa. Davvero, orribile. In questo caso, però, non c'è veramente niente da dire: “(...) si chiama Hold On, tieni duro, no, da ieri al limite ha un altro senso, comunque... Hold On, tieni duro”. .
E inizia a suonare, da solo, la sua chitarra e canta. A me fa i venire i brividi, anche adesso.
andisceppard, llawyer, 16 marzo 2015.
Carico i commenti... con calma