Gli Evergrey sono una garanzia, ormai lo sappiamo, però l’ultimo lavoro qualche segnale di stanchezza lo dava, roba del tipo “ok, ma al prossimo giro meglio cambiare”. Questo tredicesimo lavoro non è una rivoluzione ma è dotato sicuramente di un po’ più di freschezza, non tantissima ma quel tanto che basta per avvertirne la sensazione. Si cambia davvero poco ma quel poco sembra fare la differenza.

Tanto per cominciare hanno levigato un po’ le chitarre, dopo che di recente si erano fatte piuttosto taglienti (specialmente in “The Atlantic”), l’aggressività torna ad essere leggermente più moderata, quasi a voler suggerire un ritorno alle origini che comunque non si concretizza. Hanno poi evitato certe forzature elettroniche o certi synth troppo marcati, che sono stati indubbiamente una trovata geniale e moderna per rinfrescare il sound nei lavori dell’ultimo decennio ma che ormai cominciavano a sapere di vecchio; stavolta si punta di più su suoni più brillanti, sgargianti, puliti, quasi a suggerire un retrogusto anni ’80 senza tuttavia riesumare il sound di quel periodo; le parti più limpide sono protagoniste di brani quali “Midwinter Calls”, “Call out the Dark” e “Heartless”.

Oltre alle parti sgargianti però ne troviamo anche alcune più delicate e misteriose, costituite da poche note, da piccoli bagliori di luce che si nascondono fra le trame di chitarra; queste sì, rievocano in parte le atmosfere gotiche di un tempo ma lo fanno in una veste tutto sommato diversa, come accade in brani quali “Save Us”, “The Orphean Testament” e “The Great Unwashed”.

Fra gli altri brani “Blindfolded” è quello forse più vicino alle produzioni più recenti, “Ominous” è il punto debole, quello che non sa dove andare a parare. Menzione d’onore per “Reawakening”, dove il lavoro di tastiere è il migliore del disco, un brano che fonde bene tutto, sospeso fra gothic metal, atmosfere autunnali, suoni anni ’80 e moderni, per me il brano migliore dell’album. Che dire poi della bellissima ballata conclusiva “Wildfires”, che davvero non è la solita ballata come ce ne sono a migliaia: pennate di chitarra regolari e soffici, qualche piano elettrico e quel basso morbido e vellutato dal sapore quasi jazz nel finale.

Quest’album probabilmente non aprirà un nuovo capitolo ma prova almeno a diversificare con un album ben in bilico fra recenti e vecchi Evergrey. Per un vero rinnovamento serve altro ma al momento possiamo essere soddisfatti così. 50 minuti di metal melodico solido e convincente in cui qualsiasi amante del metal può trovarsi a proprio agio.

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