Sono tedeschi, sono in quattro e suonano progressive metal moderato. I loro primi dischi (questo è il secondo, uscito nel 1995, poi ne hanno prodotti altri quattro) si fanno notare prima ancora di essere ascoltati, grazie a copertine e libretti bellissimi, frutto dell'estro di un artista a nome Gregorio Bridges. Il prog degli Everon è blandamente virtuoso, niente a che vedere con le cervellotiche fughe ed i ritmi smozzicati di Dream Theater e simili... diciamo che siamo a livello Kansas. Il fatto è che il focus è decisamente sul canto e le liriche, a dimostrazione che al leader del gruppo e cioè al compositore, chitarrista, tastierista e cantante Oliver Phillips, interessa soprattutto cantare.
Quando c'è da fare un assolo di chitarra però provvede di persona... giacché il collega e chitarrista a tempo pieno Ralf Jannsen esegue solo parti ritmiche. Per quanto riguarda invece gli assoli di tastiere... non ve ne sono! Oliver le usa senza risparmio, ma per creare spessi tappeti d'atmosfera o sonore fanfare di trionfo, oppure per arpeggiare (di pianoforte). Il frontman possiede infine una voce sufficientemente stentorea e potente da sovrastare il notevole marasma sonoro (a cui contribuiscono il bassista Schymy ed il batterista Christian Moos), anche se qualche pecca di pronuncia eccessivamente teutonica inevitabilmente affiora qua e là.
E' musica complessa come il genere impone, però orientata alla canzone, senza che i brani siano lasciati andare spesso oltre i quattro minuti, e nel caso mai al di là dei sette/otto. Assai peculiare è poi la resa timbrica imposta dal produttore Eroc, fautore di un panorama sonoro molto stratificato e spesso, invero confuso ma coinvolgente, assai reverberato e drammatico: un vero muro del suono.
Questo avrebbe dovuto essere l'album che doveva imporli, ancora ripieni di carica giovanile, nel panorama rock internazionale degli anni novanta... purtroppo la casa discografica che li aveva a contratto fallì all'indomani della pubblicazione di "Flood", coll'assurdo e deprimente risultato che non si trovavano sufficienti copie del disco nei negozi, malgrado la notevole domanda! Fu questa una svolta decisiva e sfortunata nella loro carriera, tuttora in proseguimento ancorché confinata ad orizzonti assai più angusti di quelli sperati.
Il disco inizia col botto: una coppiola di pezzi che rappresentano la stessa canzone, prima eseguita per soli pianoforte e voce, poi senza soluzione di continuità (se non appunto il cambio di traccia) arrivano l'esplosione della ritmica e la ripresa degli stessi temi, stavolta a tutta orchestra e con estrema efficacia. I due brani sono legati anche nel titolo, il primo essendo "Under Skies..." ed il secondo "...Of Blue", stravaganza nella stravaganza; in ogni caso stiamo parlando di circa sei minuti totali di grandissimo rock progressivo, pomposo e melodicissimo, potente e lancinante, un biglietto da visita lussureggiante per il gruppo, che però nel resto dell'album non riesce a proporsi e neanche ad avvicinare lo stesso livello, risultando col progredire dell'ascolto via via sempre meno interessante e, in definitiva, pure ripetitivo.
Il disco è da ascoltare col libretto in mano, aperto sulla pagina centrale che si apre i quattro parti e mostra il gigantesco oblò di un futuristico sottomarino, dal quale si intravede il paesaggio illuminato di una misteriosa città, adagiata sul fondale abissale...: fantasie e deliri tipicamente nordeuropei, per una musica descrittiva e intensa, indubbiamente interessante benché non priva di decise pecche in quanto a varietà e ispirazione.
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