Dopo la stroncatura dei due commessi di Aiazzone, per il primo magnificat mi sembra giusto ripartire da un altro duo, più o meno della stessa epoca. Qualcuno me l’ha anche chiesto esplicitamente, aho facce capi che te piace(va). Quindi Everything but the girl sia. Che poi il mio approccio con il duo di Hull non fu affatto spontaneo, ma dovuto a biechi fini utilitaristici e partendo da gusti diametralmente opposti.

Per esigenze di ricerche antropologiche, verso metà anni ’80 mi trovai a frequentare una certa gioventù aristocratica e a condividerne ascolti musicali e clichè vagamente Mod. Trattandosi di nobiltà di tendenza moderatamente progressista e gusti contegnosi, incontrai convinti ascoltatori di Style Council, tra i quali una giovine Contessina dagli occhi come il cielo dopo una sfuriata di Maestrale.

Con Contessina toppai l’approccio. Colpa della dabbenaggine dei manco ventanni, me la racconto. Al posto di stamparle in faccia del gagliardo metal, mi feci camaleonte, deliziai i miei timpani con le raffinate composizioni di Weller e Talbot, divagando su Working Week e Matt Bianco, senza disdegnare deviazioni sull’acid jazz, bordeggiando anche i Weather Report. E così Graecia capta ferum victorem cepit.

Ammetto che non fu un sacrificio scavare i solchi di Cafè Bleu, e mi ci volle poco a farmi stregare da una torch song come The Paris Match, ed in particolare dalla meraviglia della voce di Tracey Thorn. E per compiacere Contessina acquistai convinto l’appena uscito Eden degli Everything but the girl. Due copie, una per me ed una per lei. Gesto sandersoniano, ammetto.

I miei intenti utilitaristici di cui sopra furono spiazzati e spazzati dalle suggestioni sonore che si diffondevano dal vinile, da quell’inatteso melange di jazz, bossanova e batida chitarristico. E il magnetismo della voce di Tracey contribuì non poco a disorientarmi.

Un disco come una medaglia a due facce: una è la voce di Tracey Thorn, l’altra è la musica di Ben Watt. Nessuna prevale, perchè sembrano fuse armonicamente, come di rado succede. Non ero e non sono un esperto di bel canto, non so come inquadrare tecnicamente quella voce. Non aveva forse la potenza di altre grandi interpreti di quell’epoca, cito Annie Lennox ed Alison Moyet su tutte, ma aveva una morbidezza austera ed una dolcezza rigida tale da renderla unica. La voce di un amante che ti sussurra soave nella serenità postorgasmica.

In ogni pezzo di Eden l’interpretazione non è mai sopra le righe, poche concessioni a virtuosismi, che pure potrebbe permettersi come nel caso di “Frost and Fire” dove a tratti emergono improvvise impennate di tono, o come in “Fascination” dove si fa più imperiosa.

Tutte le composizioni mantengono una sottotraccia di soavità, che si tratti delle percussioni e delle chitarre a cavalcare il bossanova di “Each and everyone” , o l’ondeggiante “Bitterswee”t o la pizzicata “Dustbowl” o delle scorribamde sull’acid jazz, con gli interventi di tromba alla Chet Baker, in “Crabwalk” come in “I must confess”.

Un limite in questo album? Ecco, forse è troppo perfetto, mai una scivolata, mai una caduta dissonante. E’ anche una dimostrazione che il talento, quando c’è, emerge presto, visto che quando uscì, nel 1984, i nostri avevano 22 anni.

Eppoi quello che apprezzavo degli EBTG, come degli Style, era la voglia di smarcarsi dal canone British, rude, beer and rock ‘n roll, tradito con sonorità estranee a quella tradizione, come ritmi latini e caraibici, melodie suadenti ma non sdolcinate, fino ad arrivare alle fascinazioni francesi che emergono in Cafè Bleu.

Avevano anche una vena ironica, gi EBTG, a partire dalla denominazione scelta, ispirandosi ad un’esposizione di mobili (non Aiazzone, suppongo), dove per una camera si prometteva di offrire tutto il necessario. Tranne la ragazza.

Dopo le soavità pop/jazz del loro esordio, Tracey e Ben probabilmente intuirono di trovarsi in una strada su cui potevano solo peggiorare e deviarono su altre vie. Guitar pop, country, pop orchestrale. Me li persi quasi sempre, tranne per la partecipazione di Tracey al secondo album di Massive Attack, Protection.

Le sonorità di Eden sono da molti associate a malinconiche giornate autunnali, ma se io fossi un replicante di Blade Runner dovrebbero innestare nel mio hard disk il ricordo di una tersa giornata di settembre in Liguria, sulla terrazza della casa di Contessina. Ancora loro sul piatto, Contessina irrimediabilmente di fianco, più frost che fire, il suo carrè schiarito dall’estate ondeggia sulla voce di Tracey, e per non sentirla parlare di amicizia fingo di distrarmi a guardare uno sloop prendere il largo, nel momento in cui è ancora consentita l’idea che nessuna via sia preclusa.

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