Immaginate di essere in un villaggio sperduto e deserto, con solo la luna piena ad illuminare la vostra via. State vagando per le sue strette strade, e a un certo punto sentite i rintocchi di una campana, e intravedete una chiesa, sullo sfondo. Al lato di questa struttura, diroccata e piena di crepe per il passare del tempo, scorgete un cimitero abbandonato. Non si sa perché ma siete attratti da questo cimitero, per cui vi dirigete verso di esso. Al centro del camposanto, tra lapidi piegate e ridotte a macerie, scorgete un pozzo. Attratti da una strana forza vi gettate dentro il pozzo e cominciate a nuotare nelle sue acque fredde. I suoni si fanno via via sempre più ovattati, di nuovo sentite suonare le campane, ma sono rintocchi lontani ormai. Nuotando intravedete una luce, riemergete e vi trovate misteriosamente all'interno di una stupenda cattedrale gotica costruita dentro una caverna. Ed è da qui, trascinati dalla stupenda "Intro", che inizia il nostro viaggio nella musica degli americani Evoken, band doom che dette alle stampe questo disco (il loro debutto) nel 1998, un viaggio che ci porterà ad abbracciare il vuoto e le tenebre ("Embrace The Emptiness").

La caratura della musica prodotta dal gruppo è, senza mezzi termini, eccezionale. E' un doom ancora più pesante e lento, intriso dalla prima all'ultima nota di una desolante tristezza e alienazione. "Tragedy Eternal" ne è un esempio perfetto. Allo stupendo lavoro di tastiere, che danno alla canzone dei contorni nebbiosi e arcaici, si aggiunge il sublime lavoro delle chitarre, che da veri e propri macigni sanno regalare notevoli sprazzi melodici, deliziandoci con assoli al limite dell'agonia. La batteria, da parte sua, cadenza il tempo che sembra non passare mai, lasciandosi andare, di seguito alle chitarre, a stupende aperture death. Poi tutto sembra rischiararsi grazie di nuovo alle tastiere, che alleviano la cupezza della canzone con inserti orchestrali dalle tinte spirituali ed eteree. Ultima non per importanza la voce, un growl baritonale e profondissimo, un rantolo che di tanto in tanto emerge per ricordarci il luogo che stiamo visitando (la deserta cattedrale vuota), e che porta con sé orde di spiriti che fluttuano sopra di noi.

Primo vero capolavoro è però la terza "Chime The Centuries End". Scandita da un suono di campane lentissimo che riecheggia tra strofa e strofa, sorretta dalla pachidermica batteria e dalle sferzate metalliche e rocciose delle chitarre (che di tanto in tanto disegnano arabeschi melodici dal sapore quasi orientale), la canzone è un dolce supplizio che sembra essere senza fine. Perfino un grande estimatore del doom metal come me trova difficoltà ad ascoltare questa canzone, data la sua incredibile lentezza e la sua cupezza, a dei livelli veramente disumani. E' roba molto forte questa, sicuramente non adatta a tutti, e che di certo necessita moltissimi ascolti. All'attacco del break acustico e melodico si riesce quasi a tirare un sospiro di sollievo: è come se tanta cupezza si fosse avvolta fino a quel momento, riff dopo riff, intorno al nostro collo, impedendoci di respirare e dandoci un senso di eterna claustrofobia. Proprio però quando pensiamo che la presa si sia allentata ecco che le stesse chitarre e tastiere che credevamo averci tratti in salvo diventano loro stesse nostre carnefici, e di nuovo ripiombiamo nel maelstrom infernale di questa canzone.

Ed è proprio la sontuosa "Ascend Into The Maelstrom" che ci conferma questa idea di sprofondare in un mare grigio pece fatto di lacrime, dolore e passioni sofferte. La voce qui è sussurrata e penosa, intona quasi un'elegia per la sua stessa fine, che di fatto arriva con l'avvicendarsi di nuovo con il profondo growl.. La discesa ha inizio, spirale dopo spirale, strofa dopo strofa, con delle vere e proprie lacerazioni fatte dagli attacchi death che via via si susseguono, ferendo e tormentando la nostra anima più che il corpo. Le successive altre due tracce non sono che il proseguo del nostro addentrarci nel nulla, un lungo viaggio paragonabile quasi ad un sonno eterno ("To Sleep Eternally") che ci porterà, alla fine, a rinnegare e maledire anche la nostra unica fonte di salvezza, il sole ("Curse The Sunrise").

La pesantezza da me avvertita ascoltando quest'opera è eccezionale, solo pochi gruppi sono stati in grado di evocare alla mia mente immagini di diniego assoluto della luce come questo disco, che ritengo senza dubbio opera fenomenale di un certo tipo di doom, quello più funereo e devastante.

Non per tutti, solo per pochi che sanno sopportare emozioni così intense e nere. Ma per quei pochi è assolutamente consigliato.

Carico i commenti...  con calma