Gli Exodus amano la violenza!
. . . e ovviamente non sto parlando di quella fisica.

Sarebbe impossibile concludere l'ascolto di un album come "Bonded by Blood" senza sentirsi terribilmente spossati e distrutti, con la sensazione di essere stati investiti da una forza innaturale ben al di sopra delle nostre capacità di resistenza: la lesson in violence manda a casa l'ascoltatore con la coda tra le gambe, consapevole delle sue debolezze. Ma questa è tutta un'altra storia, sebbene ci sia da sottolineare che, proverbialmente, il lupo perde il pelo ma non il vizio.

Parlando del "Fabulous Disaster" qui preso in esame, bisogna ricordare che il folle, grezzo e arrogante cantante Paul Baloff -scomparso purtroppo pochi anni fa- non era più della partita, lasciò infatti gli Exodus dopo la pubblicazione della loro prima fatica in studio, più tardi rimpiazzato da Steve Souza, lo stesso Souza che militava nei The Legacy (mi sto riferendo ai Testament pre-Chuch Billy). La line-up subì alcuni scossoni: tralasciando la dipartita di Kirk Hammett che avvene parecchio tempo prima (nel 1983 decise di seguire l'ascesa dei Metallica), intrapresero altre strade anche il primo bassista Geoff Andrews e Beloff appunto, durante il recording di "Pleasures of the Flesh", probabilmente a causa di problemi legati alla droga. Breve riassunto? Gli Exodus del 1988, che registrarono il disco qui recensito, erano formati da Souza, Gary Holt e Rick Hunolt alle sei corde, Rob McKillop al basso e Tom Hunting dietro le pelli.

E violenza sia!

Holt e Hunolt (sarà solo un caso l'assonanza dei due cognomi?) si esaltano, mostrandosi ancora una volta come una delle coppie di chitarristi thrash più affiatati, due schegge impazzite e taglientissime che corrono una dietro l'altra in funambolici solos e riffs insostenibilmente pesanti e cattivi, dietro la regia di una parte ritmica ben cadenzata nelle parti -davvero poche- di ansiosa pausa e implacabile se costretta ad esplosioni ferali e selvagge. Infine una nota di merito anche alla maschia (è proprio il caso di dirlo) prestazione vocale di "Zetro", sicuramente un punto di forza di questa band: sebbene non mi senta di paragonarlo a Baloff -ma ci tengo a specificarlo, è una personalissima opinione- la sua voce, così atipica ma passionale, irruenta e prepotente, contribuisce a percuotere nella veemenza più inaudita l'ascoltatore.
Probabilmente l'immagine che più potrebbe rendere al meglio l'impeto di quest'album è quella di un terrificante tornado che tutto colpisce e nulla risparmia, facendo terra bruciata attorno a sé: ma questo è lo stile degli Exodus, e non ce n'è per nessuno!

La title-track, dopo l'opening di "The Last Act of Defiance" -l'ultimo atto di sfida (!)-, è un conglomerato metallico di brutalità: riffs e solo velenosi, come altrettanto velenose sono le lyrics rigurgitate con spavalderia e menefreghismo da Souza... ci troviamo nel pieno del Favoloso Disastro! Si prosegue senza sosta, e già si è esterrefatti dall'impensabile potenza sprigionata dal combo californiano. Si potrebbe disquisire a lungo sulla bellezza di "The Toxic Waltz", sugli 8 minuti della splendida "Like Father, Like Son", sull'assolo sidereo di "Verbal Razors"o, ancora, sull'interpretazione memorabile di "Overdose" -brano degli AC/DC di Bon Scott al tempo di "Let There Be Rock" (1977)- ma sarebbe un'inutile misura su bilancia di brani tutti ineccepibili -scusate l'azzardo-, tra i quali uno può colpire più di un altro per questioni puramente soggettive.

Se siete dei neofiti e amate la violenza musicale, quella vera, che non si esprime solo con biscrome a doppia cassa a 200bpm, avvicinatevi -con la dovuta prudenza- a questo disco o, più in generale, alla musica degli Exodus. Niente fronzoli, niente peso alle apparenze, solo sostanza! Se invece siete già esperti, niente da dire, sapete a cosa andate incontro. . .

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