Con i grossi nomi del metal che da anni campano ormai di rendita, sia in studio che dal vivo, è indubbio che gli Exodus siano una delle poche eccezioni alla regola. Nome storico del thrash metal americano degli anni Ottanta, non hanno mai goduto di particolare considerazione, spesso ricordati più per la breve comparsata di un giovane Kirk Hammett ad inizio carriera che per le effettive prove in studio. Se l'importanza di un album come "Bonded by Blood", almeno quella, viene ancora riconosciuta a trent'anni dalla pubblicazione, i cinque di Frisco non hanno mai potuto aspirare allo status dei soliti Megadeth o Metallica. Dopo un decennio, gli anni Novanta, alquanto travagliato, con scioglimenti ed effimeri ritorni di fiamma che non portarono a nulla, Gary Holt e soci tornano in pianta stabile nei primi anni Duemila, periodo in cui il thrash della vecchia scuola inizia a tornare in auge, anche grazie a nuove generazioni di metallari che, forse anche stanchi di tutto l'alternative e nu metal che aveva spopolato fino a qualche tempo prima, tornano a rivalutare sonorità più datate. Visto la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo, in un momento in cui la buona sorte sembra sorridere agli americani è impressionante la serie di tegole sulla testa che arrivano una dopo l'altra. Paul Baloff, storica voce degli esordi, muore stroncato da un infarto, Steve Souza, che rientra tempestivamente nel gruppo, contribuisce a registrare "Tempo of the Damned" del 2004, uno degli album più belli del quintetto, per sbattere la porta in pieno tour, con i restanti ex colleghi che si vedono costretti ad ingaggiare sostituti dell'ultima ora pur di onorare gli impegni già presi. Nel frattempo il gruppo, con tanta fatica rimesso in piedi, esplode letteralmente, con gli storici Tom Hunting e Rick Hunolt che se ne vanno nel giro di pochi mesi. Se una persona quantomeno ragionevole si sarebbe fatta venire un esaurimento nervoso, il buon Gary Holt ha invece la pazienza di ripartire da zero e di mettere in piedi una formazione completamente nuova che racchiude in sé il meglio della scena thrash di San Francisco, oltre che a sfornare uno dei migliori dischi della sua carriera, un album che sarebbe diventato un vero e proprio simbolo del thrash degli anni Duemila, "Shovel Headed Kill Machine". Se i nuovi arrivati Paul Bostaph e Lee Altus sono delle garanzie, la vera scommessa vinta è quella relativa a Rob Dukes, ex tecnico delle chitarre "promosso" a cantante, che riesce, grazie ad una voce al vetriolo, a non sfigurare accanto ai ben più illustri colleghi. Visto che un'analisi dei singoli brani è inutile, con il disco che, per essere apprezzato, dovrebbe venire ascoltato nella sua interezza, è interessante soffermarsi sulle affinità-divergenze tra questo lavoro ed il suo immediato predecessore. Se "Tempo of the Damned", infatti, era caratterizzato da una certa attenzione alle melodie, l'attuale incarnazione degli Exodus punta tutto sull'aggressività, con brani come "Raze" o "Now Thy Death Day Come" che, anche grazie ad una sezione ritmica di primissimo livello, risultano essere alcuni tra i più violenti del combo americano, coadiuvati poi dai "soliti" testi di Mr. Holt, traboccanti disullisione e cinismo da tutti i pori. Altro aspetto da sottolineare è quello relativo alla struttura dei pezzi, lunghi e articolati, come mai era successo nella discografia del gruppo, ponendo di fatto la base per un discorso che avrebbe raggiunto il suo apice nelle due successive prove in studio, i due "Exhibit" pubblicati tra il 2007 ed il 2010, con i vari brani che in più occasioni sarebbero arrivati a superare anche gli otto minuti di durata. Sulla prestazione di Gary Holt c'è poco da dire, rivelandosi davvero superlativa, con il chitarrista americano che si divide senza problemi tra ritmica ed assoli al fulmicotone, scambiati di volta in volta con il sodale Altus. Il dischetto in questione, al momento della sua uscita, fu accolto come un mezzo miracolo, un capolavoro di metal moderno, nato tra l'altro in condizioni tutt'altro che semplici, che mostrava un gruppo affiatato ed energico, forse uno dei pochi con ancora qualcosa da dire ad oltre vent'anni dall'esordio, grazie ad un album che univa tecnica e grandi capacità compositive. Da "Shovel Headed Kill Machine" in poi il carro armato Exodus non si è più fermato, sparato sempre a mille contro tutto e tutti. Nelle ultime settimane i cinque californiani sono usciti con il nuovo "Blood In, Blood Out", stavolta di nuovo con Steve Souza dietro il microfono, accolto per l'ennesima volta come una manna dal cielo, e con gli Exodus già pronti a rimettere in moto il loro Panzer in giro per i palchi di mezzo mondo. E la mattanza continua.
Exodus:
- Rob Dukes, voce
- Gary Holt, chitarre
- Lee Altus, chitarre
- Jack Gibson, basso
- Paul Bostaph, batteria
"Shovel Headed Kill Machine":
- Raze
- Deathamphetamine
- Karma's Messenger
- Shudder to Think
- I Am Abomination
- Altered Boy
- Going Going Gone
- Now Thy Death Day Come
- .44 Magnum Opus
- Shovel Headed Kill Machine
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