Gli Experimental Audio Research sono un gruppo sconosciuto a molti ma davvero da mettere nell'olimpo per chi come me adoro la psichedelia a tutto tondo. Più che "fare" musica direi che dipingono attraverso un sapiente uso dell'elettronica e del feedback noise/chitarristico filtrato affreschi (tradotti in stati d'animo dall'ascoltatore) spaziali che possiedono però un calore cristallino... Insomma un suono che induce a lasciarsi trasportare nello spazio più profondo senza alcuna sensazione negativa ma semplicemente facendosi cullare da questo flusso dalle tessiture chimiche, narco-indotte, fra modulazioni ed effetti, distorsioni e trasalimenti onirici. Uno spazio profondo ma altresì astratto dove musica ed emozioni vengono impastati non solo grazie alla tecnica acustica acquisita, quanto piuttosto immaginando altri mo(n)di.
La band è una sorta di supergruppo (anche se mi fa sorridere chiamarla così): Pete Kember (Spacemen 3), Pete Bain (Spacemen 3), Kevin Martin (God), Eddie Prevost (AMM... qualcuno se li ricorda? Una mitica formazione free-noise fine anni '60), Kevin Shields (My bloody valentine) più una serie pressoché infinita di crediti tra cui uno recita "voltage control adviser"... Non ho scritto cosa ogni tizio suona nel disco perchè qua tutti suonano tutto anche se ad esempio Martin è famoso per essere un sassofonista e Prevost un percussionista. La mente di questa musica aliena è comunque Pete "Sonic Boom" Kember che risolti i problemi con le droghe (io personalmente dubito...) si è dedicato anima e corpo a questa sua creatura. Mutate i Tangerine Dream del periodo d'oro in qualcosa di ancora meno ancorato ad una struttura sonora ortodossa, aggiungete l'approccio davvero sperimentale che hanno con la musica gli E.A.R. e avrete un piccolo e approssimativo riassunto di come possa suonare (?) un disco del genere.
Talmente sperimentali dicevo che l'ultimo album dei "nostri" è considerato un classico del circuit-bending una scena artistico-musicale dove non convenzionali ma rigorosi sperimentatori generano articolate sonorità modificando l'elettronica di vecchie apparecchiature essenzialmente giocattoli dotati di vecchi sintetizzatori. Nel caso di "Data rape" ultimo ostico (ma anche ammaliante) lavoro traduttori anni settanta della Texas Instruments, più precisamente la serie "Speack and Spell". Phenomena 256 è a livelli di sperimentazione sonora e uditiva non così estrema ma sicuramente risulta più gradevole e compatto nella sua essenza. Senza però che manchino i colpi di genio (o di pazzia?) anche qui. La band gioca in alcune tracce con nuove tecniche (siamo nel '96). Ad esempio "Sub Aqua/Tidar/Lunar" dieci minuti di delirio cosmico sono tre composizioni in una: un drone statico nel canale sinistro, un drone mutante nel canale centrale ed una distorsione fuzz in quello destro. Anche le tracce "Delta 6 (Hydrophonic)" e "Phenomena 256" sono registate in modo da combinare tre differenti pezzi ognuno in un canale differente del mixaggio. Ascoltatele, giocate con il balance e sappiatemi dire l'effetto che fanno. In "Space themes, pts 1 & 2 (tribute to John Cage in C, A, G, E)" spiega tutto il sottotitolo della canzone: un omaggio a Cage usando come note solamente le iniziali del suo cognome. Una sorta di scherzo anche se la canzome lascia storditi col suo puro e onirico mantra sonoro-rumoristico. Semplicemente un gruppo quindi che fa dell'innovazione e della ricerca una religione. E questo a prescindere che poi questi viaggi interstellari possano piacere o meno me li fa adorare in modo viscerale. Siamo quasi alla fine del disco (scrivo mentre lo ascolto) e arriva "Spacestation" e alzi la mano chi udendo tale "cosa mutante" non crede di essere davvero in una stazione spaziale con attorno il vuoto più oscuro.
Situazione ideale per ascoltare Phenomena 256: umore sereno, cervello offuscato (possibilmente da sostanze psicotrope), membra rilassate, buio assoluto.
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