Quattro lunghi anni di nulla. Quattro anni passati a ripassare le atmosfere malinconiche e liquide di "The Earth Is Not A Cold Dead Place" e "All Of A Sudden I Miss Everyone". I texani Explosions In The Sky non si erano più fatti vedere, se non con qualche live in giro per il mondo: ma del nuovo disco poche e fugaci notizie. Quindi cosa c'è nell'ultimo lavoro degli statunitensi?

In "Take Care, Take Care, Take Care", sesto album della loro carriera, c'è un ensemble di tutto quello che la band ha suonato dal debutto "How Strange, Innocence". Un insieme raffinato e dai tratti malinconici che si rifà ad un post rock strumentale che pizzica qua e là dai Mogwai e dai God is an astronaut, senza dimenticare però quell'anima perennemente vagabonda e sognante, quasi triste, che gli Explosions hanno saputo immettere e coltivare nella loro musica.

I loro strumenti vanno a dipingere giornate di pioggia nelle più grandi metropoli americane: hanno la capacità di descrivere in musica le tipiche volute plumbee che si affacciano sull'Atlantico, nonostante vengano da uno stato decisamente più colorato e solare come il Texas. Le loro lunghe preghiere devote al post rock sublimano in sentimenti che richiamano il ricordo, il tempo andato. Non c'è felicità apparente nelle loro composizioni, ma bensì riflessione, comprensione dell'uomo. I quattro membri riescono in ciò senza l'utilizzo della parte vocale: bastano due chitarre, un basso e una batteria. Rayani, Smith, James e Hrasky depongono cristallizzazioni di note in perpetuo movimento, verso un mondo lontano e fantastico. Fraseggi e architetture chitarristiche che per la prima volta lasciano spazio anche a momenti più rarefatti di estrazione vagamente ambientale: c'è spazio anche per dei leggeri vocalizzi come in "Trembling Hands", comunque la meno riuscita del lotto. La band da il meglio di se nelle lunghe tracce, quelle in cui viene fuori l'anima più libera e sognante dei membri, che si sbizzarriscono in partiture toccanti quanto potenti e d'impatto. Esse trovano spazio fin dall'iniziale "Last Known Surroundings" dove momenti più riflessivi si alternano a sferzate abrasive tanto pulsanti quanto brevi. Fluenti fantasmi vengono fuori nella passeggiata "Postcard From 1952", in cui emergono con forza sentimenti ormai perduti e la dolcezza "fredda" delle sei corde di Smith e Rayani. Infine la conclusiva "Let Me Back In" innalza le vette emozionali fino a diventare l'apice sentimentale e (strumentale) del cd.

I quattro anni di silenzio sono serviti alla band per pensare e realizzare un disco che conferma la loro bravura e che li innalza ancora di più all'interno dell'ormai intasato scenario post rock. "Take Care, Take Care, Take Care" è forse poco vario e "standardizzato", ma contiene tutto il credo dei quattro texani: pochi hanno la loro capacità di sognare e far sognare attraverso gli strumenti. Ancora meno sono coloro che riescono a confermarsi a questi livelli pur insistendo su un genere che di per se sembra avere pochi sbocchi. E' qui che entra in gioco la classe, la raffinatezza, la voglia di stupire...

1. "Last Known Surroundings" (8:21)
2. "Human Qualities" (8:09)
3. "Trembling Hands" (3:30)
4. "Be Comfortable, Creature" (8:47)
5. "Postcard From 1952" (7:06)
6. "Let Me Back In" (10:07)

Carico i commenti...  con calma