"Ce n'era davvero bisogno?" Questo è il primo pensiero che mi è balenato in testa quando ho saputo che i Faith No More sarebbero tornati in studio per registrare un nuovo album dopo diciotto anni dal precedente "Album of the Year". Chi effettivamente attendeva un loro ritorno su disco? Magari utile solo per rovinare un'ottima discografia con un nuovo album approssimativo e superfluo (cosa che hanno fatto pochi mesi fa i The Pop Group), giusto per racimolare qualche soldo dopo la reunion. Comunque i miei buoni propositi di non acquistare questa uscita discografica sono andati a farsi fottere abbastanza prontamente, anche perché il mio amore incondizionato per ogni progetto di Mike Patton mi ha spinto a ordinarlo non appena il pre-order è stato annunciato. Ma non è stato solo questo. Ribadisco infatti che non avevo alcun bisogno di un nuovo lavoro dei cinque di San Francisco. Non prima di ascoltare le loro esibizioni dal vivo di alcuni dei pezzi che sarebbero poi comparsi su questo "Sol Invictus".
Prima ancora che il suddetto venisse annunciato, infatti, erano già state suonate dal vivo tre canzoni che vi sarebbero comparse. La prima esibizione di una di queste, "Matador" risale addirittura all'ormai lontano 2011. Le altre due ("Motherfucker" e Superhero") sono state invece suonate per la prima volta nel luglio 2014, durante un concerto d'apertura ai Black Sabbath ad Hyde Park. E, penso che in questo caso si possa dire, "mi hanno fatto venire il cazzo duro" (cit.). Mi sembrava infatti incredibile come in queste nuove composizioni, seppur diversissime fra loro nello stile (l'oscuro rap rock di "Motherfucker", l'hardcore/alternative metal colmo di tastiere strappalacrime di "Superhero" e il gothic rock a tratti pop a tratti hardcore di "Matador") permeasse una certa orecchiabilità di fondo, comunque sempre presente nei vecchi lavori dei Faith No More, che conviveva con l'anima più sperimentale e creativa del gruppo (venuta a galla in parte con "Angel Dust" e poi esplosa con i loro album da me preferiti, ovvero "KFADFFAL" e "Album of the Year").
Mi ero dunque prefissato di non ascoltare "Sol Invictus" fino al giorno della data di uscita ufficiale, il 19 Maggio. 11 Maggio: "Sol Invictus disponibile in streaming su NME". Fanculo. E così il mio buon proposito sfumò. Ripetute volte. Anche lo stesso giorno. Poi, giunto finalmente il 19 Maggio, mi vedo recapitata la copia fisica e la ascolto. 20 volte, ad oggi. Lo sto ascoltando anche ora, in realtà. 21. La prima cosa che salta subito all'orecchio in questo lavoro è la totale mancanza di un ruolo di rilievo da parte di Jon Hudson (eccezion fatta per "Cone of Shame"). La parte principale viene infatti più spesso delineata dalle tastiere di Bottum (su questo lavoro in formissima, probabilmente come mai prima d'ora) e dal basso di Gould, lasciando difatti a Jon Hudson un ruolo quasi prettamente ritmico. Quest'ultimo però, seppur si possa anche notare quanto non abbia contribuito per un cazzo alla scrittura di "Sol Invictus"(mentre nel precedente "Album of the Year" aveva collaborato alla stesura di qualche brano), conferma di essere un chitarrista piuttosto versatile, mostrando la sua abilità nel destreggiarsi con riff funky, hardcore, pop, country, rock, folk, metal pur mancando del carisma di un Martin o della perizia tecnica di uno Spruance (che a mio avviso rimane il miglior chitarrista che abbia mai lavorato nel gruppo di Gould). Altra cosa che si nota sin dal primo ascolto: "Cone of Shame". Probabilmente una delle migliori canzoni mai apparse su un album dei Faith No More. Circa due minuti di introduzione di chitarra dal sapore retrò accompagnata dalla ritmica marziale del sempre allucinante Mike Bordin e poi l'esplosione. "I'd like to peel your skin oooooooooooooff!" urla un Mike Patton incazzatissimo su di un tappeto ritmico delirante che avvia la canzone verso una conclusione in cui la chitarra di Hudson viaggia a metà fra i Fantômas e le colonne sonore degli spaghetti western. E il resto dell'album non è da meno. Infatti "Matador" e "Sol Invictus" (quest'ultima title e opening-track, dall'incedere lento e riflessivo, che si discosta molto dalle tracce che solitamente aprono i lavori dei cinque) sono capolavori, almeno altre quattro canzoni sono degne di nota e soprattutto, cosa assai rara, nessuna traccia incita allo skip. A questo punto penso che dovreste già essere su NME (o su qualunque altro sito sia attualmente in streaming) ad ascoltare quest'opera (d'arte? probabilmente sì). E ricordate! PRIM..ehm...FAITH NO MORE SUCKS!
Post scriptum: il mio voto è 4/5 perché la copertina fa cagare. Alquanto.
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