Non mi è capitato spesso negli ultimi tempi, sommerso dall'ininterrotto blob mediatico-musicale, di rimanere talmente colpito e coinvolto dall'ascolto di un album da non riuscire a dominare il desiderio di muovermi, battere il tempo, contagiato da una pulsante energia.
Premetto di non essere mai stato un cultore del genere "garage", ma l'impetuoso debutto degli americani (North Carolina) Fake Swedish, "Get Correct", mi ha fatto letteralmente sobbalzare e ha negli ultimi giorni monopolizzato il mio lettore; sarei, però, ancora più soddisfatto se un loro nero vinile potesse girare sul mio Technics, come meriterebbe il suono così meravigliosamente antico e grezzo di pezzi come "No Exit" o "Beef Trigger". Siamo, lo avrete intuito, in un territorio che sfiora la "restaurazione". Ho adoperato tale termine non a caso. I giovani Fake Swedish, infatti, guardano all'epoca, una sorta di "età dell'oro" storica non mitica, nella quale rock e pop erano tutt'uno e non aveva senso chiedersi se "Strawberry Fields Forever", "No Fun", "Green River", "The Nazz Are Blue", "Born To Be Wild", "Get The Picture" brani così diversi, appartenessero o no alla stessa "famiglia"; anche se alcuni di questi vendevano centina di migliaia di copie, nessuno si sarebbe sognato di tirare fuori il termine "commerciale".
È il ritorno ad una psichedelia anni '60, quindi, che s'ispira ai Love, ai The Yardbirds, ma che risente anche della lezione R&B e beat di band storiche come i Pretty Things. Per completare il quadro dirò che il vocalist, nonché autore e chitarrista del gruppo, Joe Romeo, (vai, paisa'!) ha confessato candidamente in un'intervista di fare tutto alla luce di un imperituro amore per i Beatles, ed io aggiungerei, anche per i Kinks. A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi, in modo retorico, perché non rispolverare gli originali; perché non fermarsi presso quelle pietre miliari che rappresentano i punti di riferimento per i nostri eroi. Domande più che lecite se "Get Correct" fosse solo un'operazione "filologicamente" inappuntabile, messa in atto da giovani talenti musicali mossi da un semplice desiderio di "ritorno all'ordine" (o al disordine, vedete un po' voi).
In loro, però, non c'è solo una sentita adesione ai modelli estetico-musicali di quegli anni irripetibili, ma anche un che di autentico, un sincero desiderio di creare e suonare, con strumentazione vintage naturalmente, la musica che veramente gli piace, che sentono più vicina alla propria sensibilità. Il malessere, la rabbia, la voglia di esserci sono quelle della disillusa generazione post-tutto, arrivata tardi al gran banchetto, quando anche gli ossi sono stati spolpati ben bene. Che fare, allora? Darla vinta ai becchini del rock, numerosi almeno quanto quelli del romanzo, e cercare improbabili "nuove strade", che finiscono inesorabilmente per risultare già battute ?
Niente di tutto questo. I Fake Swedish hanno deciso, fortunatamente, di seguire il loro istinto, convinti che quelle nodose radici siano ancora in grado "estrarre" la loro preziosa linfa. They are Fake Swedish, but they are not Fake Rockers: this is sure!
Carico i commenti... con calma