Markus Tuemmers aka Vratyas Vakyas inizia diversi anni fa (1989) un progetto solista. L'intento è quello di percorrere le orme di Bathory, attraverso un metal che salta tra sonorità viking/folk e black. Il risultato è una musica tanto violenta quanto melodica, e raramente si è potuto sentire un connubio simile senza che nessuna delle influenze varie prevalga sull'altra. E quindi attraverso leggende di terre nordiche, paganesimo e mitologia il progetto Falkenbach spicca davvero come qualcosa di speciale e innovativo nella scena del metal estremo scandinavo. In verità è tedesco (pare anche amico di Nargaroth), ma potrebbe essere facilmente confuso per le sonorità per uno scandinavo puro, in fondo lo è nel cuore...

Questo lavoro, uscito nel 1998, è stato interamente autosuonato, autorealizzato e autoprodotto, anche nell'artwork. Prestando attenzione si noterà l'impressionante complessità tecnica alle spalle di questo capolavoro. Oltretutto pregno di atmosfere e richiami tanto chiari quanto regolari. A mio parere rimane il picco più alto raggiunto nel genere, e quindi anche dall'artista, che è comunque riuscito a continuare a produrre lavori mai meno che ottimi. 6 tracce che riempiono 41 minuti in maniera regolare, niente intermezzi, forse appesantendo l'ascolto, ma che non sarebbe dello stesso effetto.

La partenza è tra le più epiche possibili, con tastiere delicate ed incisive. "...When Gjallarhorn Will Sound" ci cala immediatamente nell'atmosfera tipica dell'album, una sensazione di iperattività mischiata a paesaggi totalmente selvaggi. Il cantato varia dal pulito allo scream, che forse non è proprio perfetto. In ogni caso si avvale delle enormi doti canore di Vratyas Vakyas. Il tutto contornato da chitarre distorte a zanzara con riff per lo più di accompagnamento, figlie comunque del black metal più classico. Infatti la parte principale è comunque svolta dalle tastiere curate maniacalmente, dalla voce e dalla batteria molto in rilievo e presente con ritmi a volte da accompagnamento, a volte in doppio pedale e quindi più scalpitanti. La traccia esaurisce agevolmente i suoi 8 minuti e mezzo grazie alla capacità di rimodellare passaggi melodici in diversissimi modi quasi da sembrare totalmente diversi.

La successiva "...Where Blood Will Soon Be Shed" (spesso i titoli usati da Falkenbach sono citazioni, per questo compaiono coi puntini di sospensione) è decisamente più descrittiva di battaglie e si districa attraverso rapidi cambi di tempo e melodia rendendo ancora una volta una sensazione di trance da immaginazione. Così anche "Towards the Hall of Bronzen Shields", estremamente evocativa e ricca perfino di assoli e cori. Il tutto attraverso comunque dimostrazioni di tecnica non mostruosa, ma decisamente più efficace, proprio perchè non fine a sè stessa. La quarta traccia è l'antenata di "Heathenish Foray" di "Heralding - The Fireblade", e si presenta già bella e meravigliosa alla sua prima edizione. Ancora una volta è possibile mischiare esuberanze tastieristiche e riff black in maniera che l'atmosfera non sia direttamente influenzata nè dall'uno nè dall'altro, ma solo dalla sinergica coordinazione di questi 2 elementi quasi estranei.

"Walhall" è l'ennesima perfetta combinazione di suoni compattati in 5 minuti e mezzo di giri e rigiri armonici che nessuno mai si sarebbe sognato che potessero essere realizzati. Ancora una volta sorprendente la capacita di inventare qualcosa che non era mai esistito. La conclusione è forse la più bella composizione di Falkenbach: "Baldurs Tod". Stavolta il black è presente in maniera marcatissima e pesante, ma il lavoro di quelle mani dietro le tastiere congela ogni secondo quasi a descrivere la enorme capacità compositiva, che arriva ad associare tempi veloci e riff graffianti a una orchestra di archi che pare non sentire affatto ciò che le viene suonato atorno. Assenza di inserti vocali stavolta. Ed è come la fine di un viaggio nelle terre dove il cemento non esiste, l'asfalto è tabù e probabilmente nemmeno all'uomo è permesso di entrare.

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