Quanti ricordi in questo sito. Una parte della mia vita. Stamattina ne ho sentito la nostalgia.

E allora eccomi con la mia prima rece dopo anni.

Ero rimasto all'hardcore americano degli anni 80 e da lì riparto.

In quella musica, secondo me, c'era tutto il "senso" dell'esistenza, tutto il male della Storia racchiuso in un grido disperato, annegato in una tormenta di chiassose chitarre, sballottato a ritmo vertiginoso. Molti gruppi sapevano convertire quel dolore cosmico in energia positiva (Minor Threat, Descendents), altri invece non potevano fare altro che constatare, tutt'al più con un filo di mesta ironia, l'ineluttabilità di uno stato delle cose che ha sempre visto (e sempre vedrà) l'Uomo autodistruggersi. Non ci sono valori, ma solo disvalori mascherati. Non c'è un senso nelle cose che si fanno, tanto nei massimi sistemi quanto nella vita quotidiana, perché tutto conduce alla morte, tutto si riduce al nulla.

Se siete allegri, ottimisti, se le cose vi vanno per il verso giusto in questo momento della vostra vita, e sentite il bisogno di deprimervi, anzi di toccare con mano il vuoto che vi circonda e di cui siete parte integrante, non perdete l'occasione di ascoltare "Landshark" (1982) dei californiani Fang.

Chi conosce i Flipper, concittadini dei Fang nella degenerata San Francisco dei primi anni 80, avrà già un'idea della "proposta musicale" dei nostri: ambientazione notturna, inverno possibilmente, periferia di qualsiasi città, un vicolo maleodorante, rifiuti ovunque (specialmente umani), alcool, eroina, risse, accoltellamenti, oppure un garage, un parcheggio, una camera di un motel, solitudine ed indifferenza sopra ogni altra cosa. La differenza è che mentre i Flipper si lasciavano scivolare tutto addosso indossando uno sfilacciatissimo ordito di chitarre e bassi fatiscenti, i Fang, ancor più cinicamente, impacchettavano lo schifo in facili canzoncine con tanto di riff-strofa-ritornello, coagulavano le incontrollate perdite dei Flipper in cacofonie "da manuale", tanto radicalmente brutte da essere orecchiabili, fondando così il famoso "grunge". Tutto in "Landshark", dalla chitarra fetida alle ritmiche impastate, dall'essenzialità delle composizioni al cantato tanto sconvolto quanto passivo, parrebbe uscito dal primo disco dei Nirvana. Se non fosse che Cobain, dietro a quel mood apatico che traspariva dal personaggio, dalle liriche, dalla voce, conservava tracce di quell'entità misteriosa chiamata "anima" e così, nel suo calvario, c'era spazio anche per i sospiri di "About a Girl" o per lo strazio di "School". Niente di tutto questo nei Fang: solo materia, solo sostanza reificata, nessun sentimento se non quello della sua assenza.

Anche se, con queste premesse, verrebbe da pensare che in questo disco una canzone "valga" l'altra (e così è infatti), proprio perché la musica (l'Arte) "vale" anche quando esprime un disvalore, ogni canzone di "Landshark" merita un'analisi.

I pezzi fondamentali sono "Law and Order", per come trascina ottusi riff che paiono rosari declamati controvoglia, mentre la voce non fa altro che annaspare, soffocata, e "Diary of a mad werrwoulf", sbranata invece da un canto spiritato, cannibale, vampiresco, assetato di nichilismo, ululante talora: curioso come questo brano finisca in dissolvenza, manco fosse una canzone pop... L'hardcore old-school, quello conciso e frenetico di inizio decade, sopravvive formalmente, ma viene reso impotente, come se a pogare fossero marionette, e regala qualche momento di fibrillazione solo nell'apnea di "Drunk & Crazy". Non che i Fang non abbiano almeno fatto finta di cercare una via d'uscita da queste sabbie mobili: in "The Money Will Roll Right In", serenata stoner in cui dichiarano il loro "amore" per la giovane star Brooke Shields, si lanciano in grotteschi tentativi di assolo, ma non durano più di metà giro di riff; in "An Invitation" si prodigano addirittura in un'insana progressione melodica, tendendo una mano agli Stooges del primo disco e l'altra ai primi Mudhoney; anche con "Skinheads Smoke Dope" provano a rialzare la testa per cercare una luce alla fine del tunnel, ma senza risultati. Anche perché non c'è nessun tunnel, nessun percorso in avanti, ma solo ristagno, impaludamento, immobilità: la musica dei Fang è destinata a sguazzare in eterno in un buco nero che non ammette scappatoie.

Cari DeBaseriani, sono lieto di essere tornato tra voi.

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