Il primo biglietto da visita è il nome. Della band.
Il secondo biglietto da visita è una cover di Dum Dum dei Butthole Surfers, e per cover servirebbero un paio di virgolette. Ma il corsivo potrà bastare.
Il terzo biglietto da visita è un frammento di эдемов сад (Giardino dell'Eden):
"E' tutto buio, nell'Eden. E non c'è un albero che sia uno, qui".
Eden?
Sarà.
Se di Eden si tratta, questo Eden non fa pensare alla Genesi. Semmai, al giardino sospeso di Robert Smith. "Creatures kissing in the rain, shapeless in the dark again".
Qui è tutto scuro, e poco si riesce a distinguere.
Due sorelle siberiane e una batterista di Mosca. Deformazioni sintetiche rubate al 1982, basso avanti a pennate di plettro su corde rimbombanti. Tempi isterici da far impazzire il charleston. Sensazione che Stephen Morris si sia fatto sentire anche a queste longitudini. Stordimento tale da ritrovarsi al centro di un dancefloor sotterraneo, urla riverberate a prendere il posto del falsetto dei Bee Gees. Sotto una mirror ball che non fa pensare a Tony Manero, ma a sfocate immagini d'oltre-cortina ai tempi del Patto di Varsavia. A bassa fedeltà.
Nessuna melodia.
"Quello che facciamo è una combinazione di No-Wave e Cold Wave".
E io continuo ad ascoltarvi, e tutto mi sembra tranne che il 2016.
Grazie.
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