Solamente 7 canzoni... delle quali "Disconnected Pt. 1" e "Disconnected Pt. 2" aprono e chiudono questa nuova pubblicazione firmata Fates Warning.
"Disconnected" (2000) contiene alcune delle canzoni più lunghe e complesse che Jim Matheos (storica mente del gruppo) abbia mai concepito. Come sempre, le sue composizioni sono intelligenti e la band alle sue spalle si dimostra ugualmente competente. Ancora una volta il cantante Ray Alder dimostra di essere un elemento chiave nel geniale sound della band, stavolta addirittura arrivando a scrivere i testi di ben 3 canzoni all'interno di questo disco.
Risulta molto difficile riuscire a descrivere singolarmente i brani presenti in questo 'Disconnected', così come impossibile risultava la singola analisi dei brani presenti all'interno del loro precedente lavoro... il pluriosannato "A Pleasant Shade Of Gray" (1997). Le canzoni sembrano essere tutt'uno con i testi, le parti heavy e gli strumenti caricati di profonda emozionalità. La solida sezione ritmica della band, resa tale dal Dio dei batteristi Mark Zonder e dall'altrettanto mostruoso Joey Vera investe diversi livelli di credibilità nel viaggio musicale intrapreso da Matheos... ed è così che il trio riesce con successo a creare un tappeto musicale stupendo in grado di circondare e supportare la voce magnifica di Alder. Le geniali pariture sincopate imposte da Zonder ai brani di questo 'Disconnected' ancora una volta si rivelano uno stupendo ed intricato lavoro di piatti e tamburi che mano mano crescono grazie alle palpitanti linee di basso suonate da Vera. Matheos in questo nuovo disco sembra molto votato alla sperimentazione quasi fosse un novello Robert Fripp... e riesce ad aggiungere al suo classico songwriting numerosi riffs di sfondo conditi dai soliti toccanti e geniali arpeggi in clean. Anche stavolta non suona alcun assolo lunghissimo, ma il suo riffing risulta denso di gustosi sapori e perfettamente bilanciato rispetto agli altri strumenti. Ancora una volta, Kevin Moore è il responsabile delle tastiere (e si... anche di piano e synths) e il suo tocco geniale mano mano cresce all'interno del disco donando ad esso tonalità chiaroscure davvero struggenti.
"One" viene introdutta con un riffing ed un ritornello abbastanza accessibili rispetto allo standard dei Warning... ma non temete è solo un fuoco di paglia; dopo pochi minuti le strutture delle canzoni si trasformano in qualcosa di davvero complesso e di non facile interpretazione. Tutto diventa molto intricato ma nonostante questo si viene assorbiti e appassionati allo stesso tempo. Uno dei momenti più geniali dell'intero disco, secondo me, è il passaggio da "So" alla melanconica "Pieces Of Me"... dove Zonder ci regala un altro delle sue geniali introduzioni fornendoci una drumming cattivo e veloce e Alder riesce a distribuire in maniera superba la sua voce all'interno di contorni sonori non ben definiti. Il genio di Moore alle tastiere esplode particolarmente nei due brani più lunghi del disco... "Something From Nothing" e "Still Remains". Queste due canzoni complessivamente sono di gran lunga più lunghe del resto dell'intero album e probabilmente sono anche le due più complesse ma allo stesso tempo geniali. Ma parlavo di Moore... ebbene l'ex tastierista dei Dream Theater disegna la palette cromatica di entrambe le canzoni con delicati e sapienti tocchi del suo strumento. La spettrale intro di basso di "Something From Nothing" si fonde con la natura introspettiva di Moore durante lo sperimentale disordine che genera questa accoppiata... siamo di fronte ad una intensità musicale difficilmente riscontrabile altrove.
C'è un'impressionante e stucchevole (in senso buono) azione di gruppo tra i membri della band, mano mano che lo smisurato muro sonoro prende forma... finchè esso non esplode in un caotico schieramento musicale intorno al terzo minuto della canzone. Alder non solo rende giustizia a questa magnifica perla, bensì egli raggiunge il suo massimo tetto interpretativo tra i minuti 5:20 e i 6:20. E' questa la vetta interpretativa toccata da Alder insieme a "Part VI" e "Part VIII" di 'A Pleasant Shade Of Gray'. Moore suona una ricorrente figura di piano che costantemente appare e scompare all'interno del brano. Parlare invece della lunga (16 minuti) "Still Remains" è impresa ardua se non impossibile per me... posso solo dirvi che quando avrete terminato di ascoltarla sarete sconvolti e senza parole.
Il disco si chiude con il secondo brano strumentale del disco, "Disconnected Pt. 2", dove Kevin Moore riesce ancora una volta a dimostrare (magari a qualche suo ex compagno) che il suonare una ripetuta e intensa nota (vedi anche Matheos nell'intro e nella chiusura di "Part XII" di A Pleasant Shade Of Gray) è sicuramente fonte di maggiori emozioni che non suonarne a ripetizione. Il resto del brano scorre via con alcune voci in lontananza e alcune palettes di contorno ma è appunto il signor Moore a farla da padrone in questo brano. Sconvolgente. [Per chi volesse approfondire questi elementi consiglio il progetto da solista di Moore, Chroma Key, il primo O. S. I. ma anche "Signify" dei Porcupine Tree. ]
Lo ammetto, 'Disconnected' è un album ostico e difficile da comprendere... probabilmente vi scoraggerà ai primi ascolti (sopratutto ai meno preparati in materia); ma esso risulta pericolosamente perfetto e contiene inoltre milioni di variazioni e sfumature sul tema. Elementi che la maggior parte delle band prog-metal può solo sognare.
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