Tra la scena Krauta, i Faust sono sicuramente i personaggi più oscuri e misteriosi, avvolti sempre in quella nebbia misteriosa dalla quale emerge soltanto musica, ottima. Un po come tutte le band tedesche ha avuto vita breve, o comunque pochi lavori all'attivo in pochi anni. Quattro i dischi, come i colleghi Neu!. Se parlare del primo album è davvero molto difficile data l'austerità che nasconde tra le varie intuizioni geniali dei tre brani da cui è composta, parlare di Faust IV sembra molto più semplice. Più semplice perchè assomiglia tanto ad un album vero e proprio. Ha otto brani di media lunghezza (tranne la prima "Krautrock"), ha suoni più rifiniti, è meno folle. Spazio a riff pesanti e momenti anche pseudo-melanconici, senza fanfare circensi o cori bavaresi.

Che questo avvicinamento alla forma rock tradizionale sia dovuto alla Virgin che mise sotto contratto i Faust? Puo darsi.
Ma non fraintendetemi, questo è un album grandioso e stupendo, per nulla piatto e "commerciale". Se faccio questo discorso prima di parlarne è solo perchè i Faust soltanto due anni prima agghiacciarono il mondo con un destro nel ventre con il primo Lp.

Questo è un lavoro più abbordabile, che personalmente il alcune parti ricorda molto il White Light\White Heat dei Velvet.

Si inizia con il brano più lungo, rumoroso e Faustiano di tutto il blocco: "Krautrock" ovvero quasi dodici minuti di improvvisazione altamente rumoristica che mantiene intatti ancora i legami con il primo lavoro. Ma è già dal secondo brano che c'è una sorpresa. "Sad Skinhead" con un riff micidiale che, ascoltato oggi, ci fa rendere conto da dove vengano tante intuizioni di band quali Artick Monkeys o Strokes. Davvero un brano di una modernità strabiliante. E poi? E poi c'è "Jennifer" una lenta ballata monocorde e che un pò spiazza l'ascoltatore che, già al terzo brano, non sa più cosa aspettarsi da quest'album. Ma ecco che sul finire del brano un'esplosione rumoristica ci ricorda che non è una band americana di metà 70. La quarta è "Just A Second (Starts Like That)" che ricorda incredibilmente da vicino "The Gift" dei VU nel giro di chitarra claustrofobico, ma anche nel missaggio molto confuso e hard degli strumenti. Ma a differenza dei cugini americani, ecco che dopo appena due minuti irrompono oltre che a dei rumori chitarristici anche suoni elettronici, urla e un piano che subito in silenzio scompare quasi come se avesse sbagliato canzone. "Picnic On A Frozen River, Deuxieme" in cui voce e chitarra duettano in un clima quasi scherzoso e non sense, per poi procedere in un escursione Zappiana per tromba e poi morire in una progressione monotematica dello stesso motivetto. Si prosegue con "Giggy Smile" e "Lauft...Heist" molto silenziose con quell'aria tipica della band tedesca a metà tra spunto innovativo e ironia. La conclusiva "It's A Bit Of Paine" sembra una canzone tranquilla quasi à la Fripp e invece un rumore sulla frase che fa da ritornello ci ricorda, per l'ennesima volta qual'ora ci capitasse ancora di confondere la lana con la seta, che questo non è quella diarrea chitarristica americana. E poco importa se l'assolo sporco nel ben mezzo del brano ricordi per l'ennesima volta i VU di White Light\White Heat ("I Heard Her Call My Name"), il Kraut è tutto un altro discorso, è fatto da gente folle che ti porta per mano in prati desolati e anzicchè farti osservare la pianura deserta sulla quale poggi i piedi, ti invita ad alzare lo sguardo al cielo, verso il cosmico, verso l'indefinibile, verso ciò che tutte le altre band hanno soltanto cercato di immaginare, loro ti ci portano. Senza volere nulla in cambio, se non il tuo appagamento psichico.

Sta di fatto che quest' album finisce qui, la carriera dei Faust (quella degna di nota) finisce qui, e Faust IV nè è il degno epitaffio, e anche se non saranno mai ricordati e citati abbastanza perchè oppressi da nomi ben più risonanti del loro, chi se ne frega: nessuno saprà mai cosa è veramente successo, tranne loro ovviamente.

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