Faust IV è un album molto vario e frammentato. In questo caso la mancanza di omogeneità si rivela un vantaggio che favorisce scorrevolezza e facilità d'ascolto.
L'aspetto sperimentale è tenuto abbastanza a freno ma non è necessariamente un male.
Il pezzo piú importante viene messo subito in apertura ed il giudizio complessivo è quindi fortemente influenzato dalla sua riuscita: è il manifesto roboante "Krautrock", quasi 12 minuti strumentali in cui si possono distinguere tre momenti principali. Dopo un inzio di puro, indistinto magma sonoro la batteria introduce ritmo e velocità.
Il pezzo decolla verso una parte centrale piú sostenuta per poi immergersi in un finale dai bellissimi toni epici.
Qui per la prima volta si indovinano le origini e le idee del sound che i My Bloody Valentine hanno portato al suo naturale compimento. È uno scenario denso e affascinante quello che viene evocato ed è un colpo di genio far seguire a tanta solennità l'ironia della scanzonata "The Sad Skinhead", un ritmo quasi reggae su cui si innesta un testo esilarante ("Going places smashing faces what else could we do?").
Il terzo pezzo, "Jennifer", è un altro punto forte dell'opera: cupo, incalzante, dolce, ossessivo, di una modernità assoluta.
C'è un leggero calo nella seconda parte ma anche abbastanza invenzioni da mantenere l'ascolto interessante.
Soprattutto da citare la conclusiva "It’s A Bit Of A Pain", una bucolica ballata folk sporcata da improvvise scosse rumoristiche.
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