I capolavori, a seconda della fase della vita in cui li vedi o rivedi, ti dicono sempre qualcosa di diverso, di più. Riguardandoli, puoi cogliere o scoprire sfumature, complessità, interpretazioni, anche per la prima volta. Dettagli che possono rafforzare l'idea che hai di un'opera, al contempo però arricchendo il quadro complessivo con l'aggiunta di nuovi, preziosi elementi.
Amarcord è uno dei film italiani più importanti e grandi di sempre, e a pieno titolo fa parte della categoria delle pietre miliari, delle opere inestimabili di cui puoi apprezzare qualcosa di nuovo ad ogni visione.
Amarcord, prima di ogni altra cosa, è l'Italia, e quindi in qualche modo siamo un po' tutti noi. E se non i noi di oggi, quelli di ieri. Il nostro passato, così lontano, così vicino.
Quello italiano è un popolo che ama troppo l'idea che ha di se stesso come di un popolo frazionato, diverso ed eterogeneo, per accorgersi di essere in realtà un'unica entità.
Amarcord scava a fondo nel carattere, nella psicologia italiana. Una psicologia di provincia, un carattere poco propenso all'autorità, eppure paradossalmente affascinato da figure forti; tutto parte di una commedia prima farsesca e poi tragica.
Amarcord infatti è il fascismo, con il quale non sono mai stati fatti i conti fino in fondo. Né con esso in quanto tale, né con quanto fosse radicato. E con quanto rappresentasse, per citare Gobetti, l'autobiografia di una nazione. I rituali, le adunate, il conformismo, la comunità, la tradizione. Una adolescenza eterna.
Perché il film di Fellini - pur nel suo mettere in scena una memoria di rifiuto - riporta, infatti, anche al desiderio di innocenza, di ingenuità. Un desiderio che sarà mortificato da una guerra che verrà solo pochi anni dopo l'anno narrato nel film. E così, in prospettiva, il matrimonio della Gradisca e la sua successiva partenza dal borgo, rappresentano l'inizio della fine di tutto questo. Se la partenza da Rimini di Moraldo in treno nel finale de I Vitelloni portava una sensazione malinconica ma positiva, in rapporto ad un'apertura verso il futuro e la grande città, quella della Gradisca è molto più cupa, seppur in modo sottile e pienamente comprensibile solo con il senno di poi.
La partenza di Ninola (vero nome della Gradisca, che in pochissimi ricordano, tanto il personaggio è entrato nell'immaginario comune e nel mito con il suo nomignolo), sogno e fantasia sessuale dei ragazzi del paese in piena esplosione ormonale, e complementarmente il funerale della madre di Titta (personaggio, quest'ultimo, ispirato al grande amico d'infanzia di Fellini, Luigi "Titta" Benzi). Questi due eventi segnano il termine dell'inconsapevolezza e del tempo del gioco, dello scherzo continuo, della goliardia.
Dell'illusione della gioventù. La fine dell'infanzia e dell'innocenza. E dell'idea che tutto possa restare com'è, quando tutto è invece cambiamento, caducità, passaggio. Il fascismo, per chi lo conobbe durante l'adolescenza e la crescita, in un certo senso poteva rappresentare anche questo, se non soprattutto questo: la stabilità e l'immutabilità, seppur con tutti gli aspetti ridicoli, paradossali, violenti e nefasti dell'insieme. Il contesto a cui si era abituati e a cui si aveva aderito, il più delle volte in modo passivo, ma anche convintamente, per spirito di omologazione, o semplicemente per non avere problemi.
Amarcord, assieme al coevo Il Conformista di Bertolucci, è pertanto il miglior film in assoluto sul fascismo e il suo contesto. Lo spirito di Fellini, che con Amarcord tornò con la mente alla sua terra d'origine e a riflettere sulle sue radici vent'anni dopo il sopracitato I Vitelloni, comunque, non fu banalmente accusatorio, né assolutorio o tantomeno apologetico.
Tramite il filtro del grottesco e dell'onirico, e con punte metafisiche di notevole rilievo, metteva in scena quel che era stato, così vero soprattutto perché così falso, come i racconti un po' mitici degli abitanti più bonariamente menzogneri del borgo. Cogliendo però l'autenticità di un periodo storico e di una psicologia collettiva.
Come farai, come farai a star lontana dal borgo...
Fellini, mai come in questo film, unisce alto e basso, lirico e volgare, e crea un'opera fondamentale della cinematografia mondiale, non solo di quella legata al contesto culturale italiano.
Innumerevoli gli autori che saranno folgorati e omaggeranno questo film, da Woody Allen in Radio Days a Wes Anderson in Moonrise Kingdom (la cui figura del narratore è praticamente presa pari pari), fino a Apichatpong Weerasethakul e alla sua Palma d'oro Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti. E in generale, Fellini resta, assieme a Hitchcock, il regista che ha creato il maggior numero di emuli e figli, più o meno legittimi.
Carico i commenti... con calma