Fellini Federico - "Il Casanova" - 1976

Le note nebbiose ed ipnotiche di piano del maestro Nino Rota gocciolano negli studios, mentre il dolly plana il terzo occhio fallico del Maestro sul volto semi-sommerso di un'enorme statua di donna che emerge dal mare-Venezia-Cinecittà-Grande Madre: si dipana l'ennesimo sogno felliniano, questa volta incarnatosi nel mitologema dell'amante latino-universale per eccellenza, "il Casanova". Donald Sutherland è perfetto in questo ruolo, la somiglianza è impressionante, e tira fuori ad arte un superuomo umano, troppo umano, in mezzo ad un secolo di mediocri, trainatosi via dalle umili origini, dal seminario, dalle prigioni, dalla sempre incombente povertà grazie sopratutto al suo prepotente magnetismo animale, alla megalomania sexualis, al mesmerizzante fluido fallico con cui si farà strada tra corti e postriboli, orgie e teneri amori, effeminati corteggiamenti a lume di luna e perentini scontri a duello, invenzioni geniali e declini clamorosi.

Il Casanova di Fellini è perduto dietro al suo demone, ai suoi astri, ai suoi fluidi, ai suoi oroscopi e alle sue alchimie truffaldine-ma in fondo anche quando froda la marchesa D'Urfè con la pietra filosofale, lui un pò ci crede: inventore del gioco cabalistico per eccellenza, il Lotto, Casanova in tutta la sua vita cercherà di fabbricare l'oro, cioé di moltiplicare in fretta le sue fortune, insieme all'icona mondana di sé stesso come di un mito vivente; ma Fellini, forse un pò autobiograficamente, pone il suo eroe e la sua Grande Opera sotto il Sole Nero della malinconia, all'ombra sogni di gloria spesso infranti e i pochi veri amori sfortunati, fino a renderlo un fallo sempre più meccanico, un disilluso cicisbeo, meno pragmatico di quanto l'agiografia ufficiale o le sue stesse Memorie ci rappresentano.

La virilità mitica è divenuta sempre più meccanica, avverte Fellini, già vittima designata fu il grande Casanova: il mitico seduttore è affascinato dagli automi, la cui costruzione in pieno secolo dei lumi era diventata una professione molto onorata nelle corti del Settecento. Prima dei suoi amplessi carica un uccello meccanico con carillon incorporato che canta sulle gesta erotiche del suo padrone a con una marcetta robotica a tempo di valzer -preludio della futura roboticità della musica nel secolo dei grandi compositori di musica classica!-.
Cade la neve, Casanova vecchio, stanco e solo alla fine della sua vita, ha un flashback ad occhi aperti di fronte ad un lago ghiacciato: rivede la sua vita, il Papa in carrozza, l'anziana madre, e tra le centinaia di amanti che aveva avuto e il vero amore che gli era sempre sfuggito, rimpiange una donna in particolare.. la bianca bambola meccanica -sic- incontrata in una corte, con cui aveva ballato e avuto un improbabile amplesso. Fellini riesce a trasmettere con questa scena tristissima una desolazione infinita, il senso di freddo, di malinconia, di abbandono, la festa della vita che se ne va come un'improvvisa impostura, trainata dal trionfo del Dio dell'Inverno e la bambola lunare come presagio di danza macabra con la morte:ho rivisto la mia vita, ho pianto..

Funerea profezia felliniana della fine del maschio seduttore, del latin lover? Oppure l'ultima vera donna dell'uomo sarà un robot creato a suo desiderio perché le donne reali saranno diventate degli androidi asessuati? Anni prima di Blade Runner il film di Fellini poneva inquietanti interrogativi.

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