Succede, non di rado, che a forza di voler fare troppo alla fine non si fa nulla. E' il caso di Fedez. Prima rapper per ragazzine, poi giudice di un talent targato Sky, poi marito della più nota influencer di tutti i tempi, infine politico, o presunto tale, a tempo perso. In mezzo mille polemiche, storie su Instagram, foto e video del figlio sparate in ogni luogo e in ogni direzione, testimonial di prodotti più o meno vendibili, attore, producer, ex-amico di J-Ax e autore di un canale Youtube piuttosto famoso. E quest'anno "Mille", appunto.
Ora, capirete bene che incidere album quantomeno decenti, in mezzo a tutto il casotto sopra elencato, è difficile. Specie se non si hanno più idee, ammesso che se ne sia avuta una in precedenza. E così ecco servito il flop della vita, quello da cui ti rialzi solo con un po' di fortuna e una Lamborghini in garage, "Paranoia Airlines".
Il nostro si dà all'intimismo, e confeziona un album in cui vorrebbe raccontare sé stesso ma a furia di raccontarsi addosso nemmeno lui sa più da che parte colpire.
L'inizio è esemplare, "Prima di ogni cosa" è la canzone dedicato al figlio Leone. In effetti come nenia sarebbe anche passabile. Subito venduta ad un noto marchio di telefonia così, giusto per utilizzare il piccolo rampollo prim'ancora che potesse capirci qualcosa. Poi una serie di canzonette, oltretutto brevissime, in cui il nostro duetta con Zara Larsson, Tedua e Trippie Redd, Annalisa, Emis Killa, LP e la Dark Polo Gang.
"Fuckthenoia" è lo sbrodolamento di un giovane ricco ed annoiato che, come tutti i giovani ricchi ed annoiati, potrebbe andare a giocare a golf; "Record" è la dimostrazione di come non si debba utilizzare la voce in un ritornello; "Così" è il ricordo di quando si era adolescenti e poveri in canna, con tanto di botte prese sulla 91; in "Buongiornissimo" tenta un assalto di satira sociale, banalissimo. Il resto, da "Sfregi e difetti" a "Cosa senza spine" è un miscuglio di testi scolastici livello prima superiore e una musicalità che si discosta dal rap puro e si butta nel pop semi-adolescenziale buono per chi s'accontenta.
Due solo gli episodi salvabili, il fumoso simil-rap di "Che cazzo ridi" ("Qui per farsi assumere bisogna trasformarsi in antidepressivi", la frase più bella dell'intero album) e la triviale "TVTB" che si scaglia contro la censura, invero con toni fin troppo volgarotti.
Sono due scintille, finita lì. Il resto è l'album di un tizio che ha completamente abdicato al proprio ruolo discografico e che, a soli 30 anni, non ha già più nulla da dire. Capita.
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