"Silent Cry": titolo che evoca qualcosa di terribile, al contempo intimo e liberatorio, conseguenza di un evento che induce alla disperazione, ma così personale da non volerlo condividere apertamente col mondo.

E' da questo titolo così particolare, affascinante ed aperto a molteplici interpretazioni che si parte per analizzare la nuova fatica in studio dei Feeder, seguito di quel "Pushing The Senses" che tre anni fa li ha portati alla definitiva consacrazione (perlomeno oltremanica); "Silent Cry" è un annunciato ritorno al rock, dopo una svolta più composta e riflessiva iniziata con quell'emozionante mezzo capolavoro che risponde al nome di "Comfort In Sound". Grant Nicholas e compagnia vogliono dimostrare di saper ancora mulinare le chitarre, e rinunciano alle "Feeling A Moment" e alle "Just The Way I'm Feeling" per riabbracciare un linguaggio musicale graffiante ed elettrico, in gran parte abbandonato dopo la sbornia punk rock del celebrato "Echo Park" (qua degnamente riesumato da un velocissimo shottino come "Miss You", che qualche lacrimuccia la lascia pur cadere, pensando ai "Seven Days In The Sun" ormai andati).

Tutto ha inizio alla grande, con un singolo come "We Are The People" che ripesca l'epicità degli U2 meno piacioni e più emozionanti per unirla ad un testo in cui Nicholas si interroga su quanto riusciremo ancora a distruggere di quel poco di buono che ci è rimasto ("Slipping away/Losing all sense of reality/Sacrifice, love and democracy/We burn it all down") e ad una consapevolezza melodica tipica delle ultime prove targate Feeder; con l'aggiunta di un bel muro solido e denso di chitarre elettriche ed un paio di cori in falsetto come ornamento, il gioco è fatto. Il leader dei gallesi precisa: "E' una canzone che parla di cambiamento e di armonia per il mondo in cui viviamo. E' come una chiamata alle armi, ma in senso positivo e non violento".

"Silent Cry" è perciò un lavoro che fonde sapientemente un impianto prettamente rock, peculiarità dei primissimi lavori della band gallese, con la maturità nell'architettare costruzioni melodiche di grande gusto e praticamente perfette, capacità invece messa in evidenza nelle più recenti studio releases; il tutto senza rinunciare però ad emozionare, utilizzando liriche profonde e riflessive sapientemente sposate alle indovinatissime trame strumentali della band. La titletrack, in tal senso, è uno spaccato pop rock destinato ad entrare tra i classici di Nicholas e compagnia, ed in assoluto ogni pezzo di questo nuovo lavoro è arricchito da particolari assolutamente unici che distinguono marcatamente ogni singola traccia; si va dai coretti piacioni di "8:18" agli archi di "Who's The Enemy" (con tanto di intermezzo pseudo-metal - ! -), dall'intimismo di "Heads Held High" al solito "tributo" ai Foo Fighters con "Guided By A Voice", per riservare l'autentico capolavoro del disco al finale, optando per una "Sonorous" che fonde hard rock, post grunge e lontani echi prog in un calderone che si avvicina a certi episodi marcatamente heavy dei Muse di Matthew Bellamy.

La produzione affidata allo stesso Grant (assieme ai compagni Taka Hirose e Mark Richardson) è di certo la mossa decisiva che ha permesso la realizzazione di un disco così bello, ricco di melodie fascinose e di arrangiamenti che lasciano veramente il segno, senza strafare (anche se poi i ragazzi in passato hanno strafatto veramente di rado).

Difficile attualmente trovare, in ambito di rock melodico, proposta migliore dei Feeder. Il miglior lavoro dei gallesi, dopo l'inarrivabile "Comfort In Sound".

Tracce chiave: "Itsumo", "Silent Cry", "Sonorous"

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