Uno dei capolavori dell'hardcore. Imperdibile. Un disco esemplare di come, nel rock, si possa tranquillamente supplire alle deficienze scolastiche, facendo leva su quelle piccole grandi virtù senza le quali non si può ambire a produrre nulla di artisticamente significativo: intelligenza, fantasia, creatività, ispirazione. L'hardcore ha insegnato ad ottenere il massimo dell'espressione col minimo dei mezzi, a piegare l'estetica musicale in funzione dei propri stati d'animo, a osare soluzioni inaudite badando, sempre e comunque, a colpire nella maniera più efficace possibile agli organi vitali: stomaco, cuore, cervello.
Frank Discussion è un agitatore, un situazionista, un destabilizzatore. Ora che ha imparato a usare il computer, carpendone i segreti, confessa di poter contare su di un'arma in più per svegliare le coscienze degli americani e renderli consapevoli della vera faccia del sistema economico ed istituzionale in cui siamo costretti (?) a vivere. Ma la cosa che lo ha reso un Maestro di hardcore, a mio avviso anche superiore al collega Jello Biafra, è la sua capacità di trasferire la critica socio-politica in un linguaggio musicale che vive di luce propria (non servirebbe nemmeno leggere i suoi, peraltro fantastici, testi: la sua musica basta a lasciar intuire quali siano i suoi bersagli) e di trasformarla in vivida ed accorata poesia. Se il suo canto è una tremebonda ed acerrima trafila di conati di vomito, la sua chitarra si distingue per uno sgradevole quanto accattivante suono sordo, sventrato, scheletrito, uno scampanellio perforante capace talora di disperdersi in stranianti assoli. Lo assiste una sezione ritmica sgranata, azzannante, squilibrata: Mark Roderick al basso e il mitico D.H. Peligro alla batteria.
Rispetto ai gruppi della loro epoca stilisticamente assimilabili ai Feederz, la band di Frank Discussion non ha né la tecnica dei Minutemen, né la precisione chirurgica dei Dead Kennedys, né le spezie horror dei Flesh Eaters. Ma non ha importanza, perché i 17 brani che compongono questo loro primo L.P. dell'1983 sono tutti memorabili, tutti ingegnosi, tutti ben distanti da convenzioni e banalità. Brani crudi nell'aspetto, in realtà poggianti su dinamiche a loro modo sofisticate.
Lo sberleffo perpetrato ai danni di Olivia Newton John, subito in apertura, con una sgraziatissima cover di "Have you ever been mellow" dice tutto: Frank è stonatissimo, ma nondimeno traboccante euforia, sincerità, cieca frenesia. Non è ovviamente l'unico capolavoro del disco. C'è "1984", uno di quei brani capaci di confessare senza imbrogli quello che è lo spirito di un'epoca, ma anche un'allarmato sguardo sul destino della propria generazione. Quando il cinismo beffardo della strofa lascia spazio a un refrain cantato con le lacrime agli occhi, un brivido corre lungo la nostra spina dorsale. Poi c'è "Jesus", surf blasfemo culminante nelle celebri liriche "Jesus entering from the rear", corredate da un coro tra i più mesti: dietro alla patina di sarcasmo anticlericale, si avvertono rabbia, sconforto e amarezza. La devastante "Games", dal canto suo, trasforma il disgusto in qualcosa di maestoso, con tutta la sicurezza di chi sa di stare dalla parte giusta. E veniamo a "Gut Rage", il momento più paradossale di tutto il disco: una ragazza canta "vandalism is beautiful as a rock in a cop's face" con un timbro da soprano, per poi vomitare il ritornello come una riot che ne ha passate di tutti i colori: l'estasi a braccetto con le pulsioni più sovversive.
I Feederz, tanto istintivi quanto consapevoli degli sviluppi del rock alternativo loro contemporaneo, propongono la loro sfibrante versione della new-wave nella strisciante suspence di "Terrorist", si aggrappano ad un turpe garage-rock tinto di nero in "Stayfree" e "Destruction Unit", sviluppano, in "Dead Bodies", il discorso che i Germs più evoluti (quelli, ad esempio, di "Richie Dagger's Crime") non hanno avuto il tempo di approfondire, mentre i 30 secondi di "Day By Day", tutta spasimi, scatti e fratture, ci ricordano l'immensa portata di ciò che gli Wire furono in grado di fare coi loro primi dischi di fine anni '70.
Siamo agli sgoccioli, è il momento di "Love in the ruins": si presenta come un gomitolo di rumori afoni, un buco nero da cui non trapela un solo spiraglio di luce, fino a quanto Frank Discussion si alza in piedi e urla:
"No more cops, no more work, no more bosses, no more money, no more politics, no more sacrifices, no more wasted time, no more mommies, no more religions, no more boredom, no more orders, no more bad jokes, no more of this shit"
Che bella cosa l'hardcore.
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