Zombie no go go

Unless you tell am to go

Zombie no go stop

Unless you tell am to stop

Zombie no go turn

Unless you tell am to turn

Zombie no go think

Unless you tell am to think

 

Gli zombie a cui si riferisce il testo sono i soldati nigeriani, uomini senz'anima che fanno ciò che ordinano loro di fare, privi di una coscienza propria.

Fela Ransome (Anikulapo in seguito) Kuti è uno di quei personaggi che ha vissuto sulla propria pelle le reazioni alla propria musica, il dolore delle botte, quelle vere.

Lui che aveva attraversato la guerra civile del Biafra nella seconda metà degli anni '60 e il colpo di stato del colonnello Yakubu Gowon (manovrato dalla C.I.A. per tenere il paese sotto l'influenza statunitense). Da qui l'avvicinamento al movimento afro-americano dei Black Panther, e alle idiologie del black power che lo avrebbero accompagnato per tutta la sua carriera.

Il polistrumentista nigeriano vanta un'enorme discografia, tour in tutto il mondo, grandi collaborazioni e sostenitori tra i più influenti nel mondo della musica, eppure è soprattutto per il suo ruolo di attivista politico che viene ricordato.

Siamo nel 1977, nello stesso anno, per dire, escono "The Clash", "Never Mind the Bollocks", "Talking Heads: 77" e "Exodus". In Italia si assiste a forti scontri civili e proteste contro un governo, quello Andreotti, tra i peggiori della Prima Repubblica.

Eppure è a "Zombie" che voglio assegnare il premio per il manifesto di ribellione musicale e sociale più significativo di quell'anno.

L'uscita dell'album rappresenta l'ultima di una serie d'iniziative di protesta che Fela Kuti porta avanti da molti anni, contro un regime dittatoriale che sfrutta il potere dell'esercito per far valere le proprie ragioni.

E la reazione del governo non tarda a farsi sentire, la residenza del musicista (chiamata "Kalakuta Republic") viene assaltata dai militari nigeriani, alcuni compagni uccisi, gli altri arrestati, le donne stuprate, la madre settantottenne gettata dalla finestra, morirà per le ferite riportate. Fela viene trascinato per le palle (letteralmente, non sto scherzando!), preso a calci, umiliato, e solamente la compassione di un ufficiale gli permetterà di fuggire.

La copertina lo ritrae, tromba in mano, nell'atto di sprigionare tutta la sua rabbia contro i poliziotti-zombie.

Ci sono solamente due canzoni, per una quindicina di minuti ciascuna, ma permeate da un groove impressionante, che non permette cali d'attenzione. C'è la titletrack appunto, un funk/free-jazz in simbiosi col calore dell'Africa; poi la seconda, Mister Follow Follow, un altro grido anti-militarista, un attacco ai soldati nigeriani che ubbidiscono agli ordini senza opporsi.

Le influenze musicali sono numerose: da Frank Sinatra, a Miles Davis, Herbie Hancock, il funk e James Brown, che da bambino fagocitava avidamente. Ma ai grandi del jazz mescola i ritmi tradizionali e il feel dell'Africa più vera, con gli ottoni che vanno a sostituire i talking drums, i "tamburi parlanti" tipici della musica yoruba, l'etnia da cui Fela discende.

E' in questo modo che nasce l'afrobeat, il genere che lo rende famoso in tutto il mondo.

La componente ritmica è perciò fondamentale, ancestrale nell'Africa nigeriana, ma con alcune influenze caraibiche. Magistralmente diretta da Tony Allen, il fedelissimo batterista che lo accompagna fin dagli esordi, diventa "musica infernale che ti costringe a muoverti", come in seguito la definirà Fela stesso.

Nell'edizione cd troviamo anche la bonus track Mistake, registrata live al Festival Jazz di Berlino nel 1978, dove è possibile sentire i fischi del pubblico, che protestano per un'esibizione forse eccessivamente lunga e per un personaggio troppo rivoluzionario anche per l'epoca.

Quei fischi che ancor più galvanizzavano il compositore di quella musica entusiasmante, così viva e ribelle, al cento per cento africana.

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