Christian Fennesz è un quarantenne austriaco. Ok. Ce ne saranno a migliaia. Però è anche un musicista che lavora con computer e chitarra. Va bene, non ce ne saranno poi a vagonate, ma non sarebbe poi l'unico. Lo fa da venti anni, ormai. Va bene, il campo si è ristretto. Però probabilmente solo ed unicamente da Fennesz potevamo (non) aspettarci un lavoro come questo "Black Sea", straordinaria gemma uscita a novembre 2008 per la volenterosa Touch Records.
Dopo gli esordi glitch (recentemente ristampati dalla Mego) e i due preziosi "Endless Summer" (sorta di non-concept pregno di atmosfere calde, estive e "surf") e "Venice" (disco più sperimentale concettualmente concepito intorno alla città di Venezia), quest'ultimo con una collaborazione di David Sylvian, "Black Sea" è per Fennesz il primo disco senza concept. Un disco che nasce puramente da se stesso, un disco costruito insomma senza una conduzione dominante - e che però, nel risultato, si dimostra coerente e monolitico come e più dei precedenti lavori. C'è una tonalità di fondo che dimora perennemente nei suoni, mai così curati, di "Black Sea", ed è davvero un mare scuro: tinte fredde, ma che allo stesso tempo sanno essere calde e piene di vita, sensibili ed emozionanti. Insomma non domina la sopraddetta conduzione ma più l'intuizione e l'emozione.
L'opener, nonché title-track, è già scuola: un assalto glitch ruvido (sembra di immergersi in acqua ghiacciata) fa spazio a melodie appena sussurrate e a possenti droni che sembrano fatti di rumore puro, che finiscono per stemperarsi in ondate in bilico tra rumore e melodia. Le dinamiche sono ricche di contrasti tra la loro apparente staticità (i tempi lenti, la mancanza di ritmo, gli echi e i riverberi) e la loro più profonda qualità cinetica (le melodie camaleontiche e cangianti, i rumorismi sferzanti) e creano un'esperienza sonora che ha del sinestetico, tanta ne è la potenza.
Proseguendo nell'ascolto i suoni si colorano e si plasmano, sembrano avere volume ed estensione reali, li si potrebbe toccare con mano mentre ti toccano il cuore (soprattutto nell'inarrivabile, incredibile "Glide"), ed è questo che porta "Black Sea" un passo avanti e un gradino ai precedenti lavori del buon viennese: se già si erano apprezzate in Fennesz la cura e la sensibilità come creatore di suoni, nonché la sua maestria nel far convivere melodia e rumore, è finalmente con Black Sea che tutto questo universo sonoro, che il nostro si è dimostrato capace di scatenare, raggiunge un autentico stato dell'arte. In quest'ottica i due precedenti lavori possono essere visti come importanti (e per questo forse ancora più belli) movimenti verso questo nuovo capitolo, che, ovviamente e fortunatamente, non costituisce comunque minimamente un punto d'arrivo. La voglia di osare, di provare a spingersi ancora più in là, di provare soluzioni nuove e di creare soprattutto della grande musica, si vede che tutto questo a Fennesz non manca.
Noi intanto godiamoci quesi cinquantadue minuti, quest'immersione sonora senza dimensioni. E speriamo che (la voglia) a lui (Fennesz) non manchi mai.
Carico i commenti... con calma