Dunque, il film è del 1901, prima che Griffith, un po' per discolparsi dal razzismo implicito in “Nascita di una nazione” e un po' per rivendicare una libertà espressiva dovuta all'artista, realizzasse il suo capolavoro, “Intolerance”, il cui schema verrà ripreso per il film “Pagine dal libro di Satana” di Dreyer, che però accosterà vari episodi anziché svolgere la mossa (pre-tarantiniana, per intenderci) di mischiarli, gli episodi (passione di Cristo, caduta di Babilonia, notte di san Bartolomeo, storia contemporanea), caratterizzati dall'uso del mascherino-come-elemento-di-drammatizzazione (si veda, ad esempio, l'inquadratura triangolare sulle mani che suonano l'arpa), e dunque prima che Welles rimpiangesse quel tipo di cinema (il muto o comunque quello delle origini) con “L'orgoglio degli Amberson”, in cui l'iris (o iride, comunque quel sistema di interpunzione delle sequenze per cui più o meno velocemente l'inquadratura compare/scompare in un cerchio che la apre/richiude) viene utilizzato e nostalgicamente ed evocativamente, e addirittura prima – e già si sarà capito che fulcro della recensione sarà l'aspetto tecnologico dello schermo nel cinema trapiantato nel film di cui sto per parlare – che Gance, volenteroso di fare un film su Napoleone e in assenza di una grammatica del linguaggio cinematografico, il che naturalmente implicava alti gradi di sperimentazione, decidesse che l'unico modo per poter dar respiro alla magnificenza di questo condottiero sarebbe stato quello di adottare il polivision, grazie al quale le riprese venivano svolte con tre telecamere, che o riprendevano tutte la stessa scena o si differenziavano (epica l'inquadratura centrale di Napoleone attorniata dalle due scene di battaglia – immagine eidetica), e il risultato fu un allestimento d'avanguardia durante la premiere della pellicola per cui gli spettatori si trovavano circondati da tre schermi, uno centrale e due a lato, e insomma prima di tutto questo, cioè nel 1901 appunto, c'è “Par le trou de la serrue”, parodia francese dei keyhole film, microgenere (famoso a quanto pare & sebbene oscurato (v. di seguito), visto che già ne fecero una parodia) che ritraeva un qualcuno intento a spiare attraverso una fessura, quindi dalle forti tinte voyeuristiche, tant'è che all'epoca venivano allestite le cosiddette serate nere, durante le quali i keyhole erano a sfondo pinuppistico, cioè dietro la porta c'era sempre una ragazza che si spogliava, presente anche in questa parodia solo in un primo tempo, dato che spogliandosi si rivelerà un lui, schifando così il voyeurista con cui – ed è questo il motivo per cui mi va di parlarne perché di per sé il film non è gran roba né vuole esserlo – grazie a una gigantesca serratura di cartone posta sulla telecamera lo spettatore avrebbe dovuto grazie a uno dei primi esempi di immagine in soggettiva.
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