Io non capisco.
Affanni, ansie, livori, mi disturbano. Come insetti che neanche ho voglia di schiacciare. Si badi, non per pietà.
Gioie e dolori mi sfiorano soltanto quando DEVO prestarci attenzione. E sono quasi sempre le gioie e i dolori di altri... Poi, per me, non capisco a cosa serva tutta la pantomina di dover avere dei sogni, delle aspirazioni, delle illusioni, qualcosa in cui credere, un ideale per cui magari morire, e lo scrivo senza amarezza. Con lucidità e un accenno di sorriso sulle labbra.
Ci sono libri, questo so, che non dovrebbero mai essere letti. (Come dischi che, incisi, dovrebbero essere riposti e dimenticati ai più.) Nel "Libro dell'inquietudine..." tutto è divinamente anonimo, umanamente abbozzato, nervosamente sospeso. Sono riflessioni senza un nesso logico e temporale di un piccolo contabile di Lisbona, un omino insonne e dimesso; si intuisce non attraente. Siamo negli anni Trenta del secolo appena trascorso; ma potremmo essere in ogni angolo del mondo e in ogni epoca. E soprattutto Bernardo Soares potrebbe essere chiunque, fra i tanti fantasmi che incrociamo ogni giorno. Ma potremmo anche essere noi: ed è questo il cancro che questo libro infonde nell'anima del lettore, quando cioè questi per un attimo sfiora la filosofia dell'autore e ne resta travolto e schiacciato. Perchè ciò che Bernardo Soares (fra i tanti, l'eteronimo certamente più tragico e calzante allo scrittore Pessoa) osserva dalla finestra del suo studio in Rua Dos Douradores, piuttosto che seduto al solito tavolo nella solita sordida taverna, o un giorno in campagna in visita a un amico; ciò che il grigio Bernardo annota tranquillo e senza speranza nel suo diario è un mondo interiore che già conosce la Verità di tutto, foriero di un Segreto che i più non vogliono vedere, ed io sto per piangere...
Soares attraversa la "maglia rotta nella rete" di montaliana memoria, ma ci svela che anche al di là è tutto uguale, resta sempre lo stesso...
"(...) Ogni giorno la Materia mi maltratta. la mia sensibilità è una fiamma al vento."
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