La concatenazione di ascolti che mi ha portato a Ferry Corsten e a questo album in particolare è forse l'unico percorso con un minimo di filo logico di tutta la mia "carriera" di fruitore musicale: in principio furono i Rammstein, non capivo esattamente come mai ma sentivo che per me loro avevano una marcia in più, un sound ed una filosofia che sentivo essere molto vicine a quello che inconsciamente cercavo. Se non erano le chitarre allora saranno sicuramente i synths, è stata la mia conclusione dopo qualche tempo. E fu così che attraverso i Rammstein conobbi Nina Hagen, poi Gary Numan, poi gli Information Society, e da lì il passo verso il ricchissimo panorama futurepop, che sto tuttora esplorando con grandi conferme e soddisfazioni, è stato breve. In me si era così gradualmente formata, anche grazie ad ascolti come "Into The Nightlife" di Cyndi Lauper, Nena dal 2001 in avanti, i Chromeo, Sam Sparro, la brava e giovane Victoria Hesketh, mettiamoci anche i tanto bistrattati Eiffel 65, una spiccata predilezione per sonorità elettroniche al servizio di un pop originale, relativamente semplice ed efficace, equidistante tanto dai carrozzoni mediatici delle popstars made in hollywood quanto da quelli altrettanto falsi e modaioli della non meglio specificata "scena indie". Una "third way" tutta mia, da approfondire e coltivare con passione, arricchendo questo percorso virtuoso con un nuovo step: l'ascolto di un DJ tout court, abbattendo così un'altra barriera pregiudiziale; alla fine la mia scelta cade sull'olandese Ferry Corsten, attirato da una spettacolare rielaborazione di un gran pezzo come "Kathy's Song" degli Apoptygma Berzerk; un po' poco ma anche questo è nel mio stile, mai negarsi il piacere della scommessa.
In puro stile random, la sua prima opera a capitarmi tra le mani è questo "Twice In A Blue Moon" del 2008: per un terzo cantato (da ottime vocalist come Julia Messenger, Maria Nayler e Betsie Larkin) e due terzi strumentale, è un'espressione di arte elettronica a livelli veramente alti. Pur mantenendo un'impronta fortemente pop, che non si perde mai in sofismi sperimentali ed altre sterili complicazioni, state pur certi che in "Twice In A Blue Moon" non troverete neanche l'ombra di motivetti cretini alla David Guetta e simili ma una splendida collezione di suoni, ritmi e melodie, chiaroscuri affascinanti, energia, ipnosi e sensualità, senza mai perdere quell'indispensabile misura di eleganza, sobrietà e coerenza stilistica. Come suggerisce il titolo, quest'album ha una doppia anima; la più danzereccia/poppettara è per forza di cose più immediata e si esprime ai massimi livelli con una superba "Black Velvet", sicuramente uno dei dancefloor anthems più belli degli ultimi anni, oserei dire un perfetto archetipo per il genere; si percepisce immediatamente l'abissale differenza con un qualsiasi singolo di una Minogue, Ellis-Bextor ed altre divette simili: qui i suoni sono puri, organici, potenti, una corrente ascensionale di fortissimo impatto scenico, senza leziosità e patinature, coronata dalla splendida interpretazione della vocalist Julie Messenger. Nulla è lasciato al caso, ogni composizione un piccolo lavoro di architettura sonora, cambi di passo e di atmosfera sono all'ordine del giorno, accanto ai ritmi veloci e circolari di "We Belong" troviamo una solenne "Made Of Love", midtempo ipnotico che si distanzia dalle atmosfere futuristiche predominanti in "Twice In A Blue Moon" a favore di un approccio più "sacrale", intriso di suggestioni new age, mentre in "Feel You" prevale una rimica più asciutta, una cadenza robotica addolcita dall'eco sensuale della voce di Betsie Larkin.
Tuttavia, nonostante la perfetta riuscita e l'indubbio fascino di queste limpide dimostrazioni di classe sopraffina l'anima di "Twice In A Blue Moon" è nei rimanenti otto strumentali, dove Ferry Corsten può esprimere a briglia sciolta il suo estro creativo in composizioni di 6/7 minuti in media che esplorano svariati stati d'animo e stili diversi. "Brain Box" parte in sordina per elevarsi gradualmente verso uno spettacolare crescendo trance/astrale, un imprinting di viaggio ed esplorazione che tocca il suo apice con la splendida "Gabriella's Sky" che, alternando idilliache sezioni orchestrate ed accelerazioni elettroniche su una melodia di per sè piuttosto semplice vuole simboleggiare un percorso che, partendo idealmente da una sognante contemplazione si lancia con entusiasmo alla scoperta del firmamento infinito. "Life" e la titletrack "Twice In A Blue Moon", la prima più lenta ed atmosferica, la seconda relativamente scarna e robotica, volano sulle ali dell'inquietudine, un vuoto ed uno smarrimento ben espressi da ritmi cadenzati e melodie fragili e volutamente ripetitive, ombre cupe bilanciate dal mantra cosmico di "Shanti", che cresce gradualmente d'intensità per esaurirsi infine nella breve outro "Visions Of Blue" una piacevole exit music che, con poche e tranquille note di piano fa calare il sipario su questo intenso e maestoso spettacolo di energie e giochi di suoni in libertà.
Questo lavoro di Ferry Corsten è un prodotto consigliabile soprattutto ad appassionati ed esteti, perfetto per chi cerca il puro piacere del bel suono, senza fronzoli e contenuti accessori. L'eleganza imponente ma snella e slanciata di queste composizioni dall'anima semplice che si sviluppano armonicamente è qualcosa che non lascia indifferenti, che trasmette un'idea di "bello" in senso lato, proprio come ammirare una fontana, una piazza, una statua, un'opera architettonica in cui si avverte la mano di un creatore con idee solide e senso dello stile. Spaziando tra atmosfere diverse, con due vertici quasi antitetici come "Black Velvet" e "Gabriella's Sky", "Twice In A Blue Moon" riesce comunque ad avere una sua visione generale ben definita, trasmettendo una sensazione complessiva di tranquillità, sicurezza e soddisfazione. Tale è il lavoro di un artista vero, che merita un plauso ulteriore proprio per il suo spirito intrinsecamente positivo: in un'epoca in cui si mette continuamente in rilievo il brutto, il cattivo gusto, la negatività, l'appiattimento poter apprezzare la bellezza anche solo "esteriore" di un'opera d'arte concepita come tale è sinonimo di fiero overstatement.
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