Cori da chiesa, rumori, sospiri, voci dal buio lontano di un pozzo senza fondo, suoni di corni, un bambino che piange: tutto questo costituisce un climax di tensione disperata che culmina con la batteria e l'inizio della melodia. E' questa quasi la preghiera di uno sciamano indiano attorno ad un fuoco, in una notte scura con le nubi che si addensano nel cielo, e con il bagliore di un fuoco che genera ombre sulla nuda sabbia, le ombre dello sciamano in preda ad una danza estatica. Tutto questo è "Shroud", track di apertura dell'ultima fatica degli inglesi Fields Of The Nephilim (o meglio, del loro leader, Carl Mc Coy), dal titolo "Mourning Sun".

La traccia di apertura sfuma pian piano nel riff elettrico e nella risata diabolica che aprono la seconda track, "Straight To The Light". "I will fly again", tuona Mc Coy con la sua voce piena, profonda e baritonale, e così annuncia il suo ritorno. Poi l'intensità del goth rock di "Straight To The Light" ci rapisce, con il suo refrain orecchiabile e il suo ritmo sostenuto ma non troppo. Si arriva poi a "New Gold Dawn", altra buona traccia di goth rock che forse sfigura un po' con la precedente, anche se riesce tuttavia a rimanere impressa nella mente, con Mc Coy che, ormai ne siamo certi, ci da la conferma che quello che stiamo ascoltando è di sicuro un album di ottima fattura.

Giungiamo poi a "Requiem", la mia traccia preferita: canti di uccelli ed, in sottofondo, un temporale che si avvicina, il tutto fuso con una dolce nenia che si propaga nell'aria.. Poi finalmente la pioggia, e di nuovo lo sciamano ci riappare davanti agli occhi. Stavolta è in piedi a torso nudo sotto la pioggia, con le mani distese lungo i fianchi ed il viso rivolto al cielo, mentre intona la sua preghiera. Questa canzone assume quasi la valenza di un rito catartico, la sua lentezza e profondità, quei piccoli suoni che fanno atmosfera permeano di nuovo l'aria della stanza; le note si susseguono ciclicamente come una pioggerella mentre la voce di Mc Coy sussurra, rimprovera, recita, urla la propria rabbia, tuona come solo un temporale sa fare. Una coda strumentale poi, dal vago sapore epico, ci accompagna verso la fine di questa splendida traccia.

Un soffio di vento gelido: siamo in "Xiberia": di nuovo una voce affannosa che cammina, suoni rimbombanti che sfociano in questa quinta traccia dalle sonorità quasi più danzereccie delle precedenti. E' questa magari la canzone che meno può entusiasmare di tutto il lotto, forse troppo di rottura con la perla Requiem e con la sua solenne atmosfera. Per fortuna la traccia scorre veloce e arriva Lei, "She", ballata sorretta da un arpeggio di chitarra semplice e malinconico. La musica sale nel suo incedere lento ma quasi regale, via via sempre più maestosa ed epica, con la voce di Mc Coy sempre imponente e profonda. Di sicuro al pari di "Requiem" in quanto ad intensità.

La preghiera dello sciamano riprende con la title track, "Mourning Sun", la terza meraviglia dell'album. Mc Coy inizialmente recita i suoi versi, sorretto da una solida base ritmica fornita dalla batteria, tastiere e chitarre, poi una pausa, la sua voce ci arriva filtrata come proveniente dalle profondità della terra, per poi ripartire, più potente di prima, con il ritornello. Più voci si intrecciano: cori, sussurri, toni imperiosi ed altri più aggressivi. L'ascoltatore si trova quasi circondato dalla melodia, non può fare altro che arrendersi alla bellezza di questa canzone. L'ultima traccia, "In The Year 2525", merita un po' il discorso fatto su "Xiberia": troppo martellante, ritmata e veloce per essere messa a finale di questo album, che forse avrebbe avuto una chiusura più sontuosa e degna con "Mourning Sun".

Al termine dell'ascolto non si può fare a meno di premere play di nuovo, se non altro per riascoltare "Shroud" o una delle 3 perle nere dell'album, "Requiem", "She" o "Mourning Sun".

Un disco che gli appassionati di dark ambient e gothic non si possono lasciar sfuggire, il ritorno dei Fields Of The Nephilim, o meglio, dello sciamano Mc Coy; il degno ed atteso ritorno di un re.

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