Ricordo che era il 1996 ma non ricordo il giorno, ricordo che ero in macchina da solo e ascoltavo Radio Rock, come sempre. Ricordo che la giornata scivolava via distrattamente quando all'improvviso dalle casse salta fuori un pezzo da far fermare il sangue.
Era "Balena" singolo d'esordio di un gruppo di Roma, gli Elettrojoyce. Cattivi e dolci, malinconici e incazzati come pochi, gli Elettrojoyce infilarono nell'arco di quattro anni una serie di tre album d'autore, album perfetti, da far accapponare la pelle. Album tristemente sottovalutati, scoperti da pochi fortunati ed io fra quelli. Trilogia del rock italiano d'autore denso, colto, cattivo e ruvido, rock di pioggia, di parole che fanno male al cuore, di frasi crude, rock per adulti, per gente cresciuta, per gente col pelo sullo stomaco, rock da ascoltare di notte, quando fa freddo, in giro per Roma.
Poi la storia finisce, una storia davvero breve per quanto intensa. Andre Salvati, pianista e scrittore lascia il gruppo per provare nuove strade e vola via. Gli Elettrojoyce, provano a sopravvivere sorretti dal carisma del leader superstite ma poi, dopo l'ultimo splendido dono dal titolo "Illumina" nel 2000, decidono di salutare tutti e sparire nel nulla.
Il leader supersite si chiama Filippo Gatti e nella vita non sa fare altro che suonare e scrivere e lo fa alla grande. Si prende un po' di tempo, si guarda intorno, si guarda dentro, raccoglie un po' le idee, raccoglie un po' se stesso e dopo qualche anno, decide di tornare a farsi sentire.
Esce nel 2003 il suo debutto da solista dal titolo "Tutto sta per cambiare" ed è una nuova straordinaria conferma.
Il disco ha la forza delle cose scritte per la voglia di scrivere e basta, è un album che non ha bisogno del pubblico, del successo o del riscontro, è un album che se ne frega, che basta a sè stesso. Filippo Gatti ha fatto un disco per sé, per mettere in musica quello che aveva da dire o da dirsi. Sembra di sentire qualcosa di segreto, musica nata dietro la porta chiusa di una stanza e che avrebbe potuto benissimo restrsene lì senza mai uscire e sarebbe stata splendida lo stesso.
Il disco è denso, magnetico, riflessivo e morbido. Ti tiene ipnotizzato dall'inizio alla fine col suo incedere lieve ma inarrestabile, viaggia da solo ma non ti fa distrarre.
Si parte con un brano incredibile dal titolo "Kaya" solo pianoforte e voce, 2 minuti e mezzo, tre frasi perfette tra cui l'annuncio TUTTO STA PER CAMBIARE
e alla fine il consiglio RICORDATI, NON PRENDERE QUELLO CHE NON PUOI LASCIARE
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Il resto è un album straordinario da ascoltare e non da raccontare. Suono curato alla perfezione, minimalista e scarno ma al tempo stesso avvolgente e vellutato, testi mai scontati in grado di regalare gemme di sincera introspezione in cui forse alla fine ci specchiamo un po' tutti.
Spicca la traccia numero 6 "La memoria libera" dove all'improvviso salta fuori addirittura la voce di Bruno Lauzi in una ballata rock malinconica e dura, sospesa nel tempo, davvero da brivido. Strepitose "Pandora" e la successiva "Requiem per i grandi numeri" quest'ultima scura e cattiva sull'incapacità di comunicare.
Tutto si conclude con queste parole 1 LA VITA E' DOLORE, 2 IL DOLORE E' PER IL DESIDERIO, 3 IL DOLORE SI PUO' CURARE, 4 DIMMI COME POSSO FARE... POSSO ASPETTARE, FINO A QUANDO SARA' ANDATO VIA
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Non mi resta che ringraziarti ancora Filippo, io che non ti ho mai conosciuto ma non ti ho mai perso di vista dal primo momento in cui ti ho incontrato. Io che ero immobile ai tuoi concerti, con gli occhi chiusi, mentre tutti saltavano e gridavano io che ho consumato ituoi dischi quando avevo ventidue anni e poi crescendo ci sono naufragato dentro.
Grazie ancora davvero.
P.S. Purtroppo il disco è quasi impossibile da trovare, ma provateci, ne vale la pena.
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