Chi crede sia possibile ascoltare certe sonorità solo sulle sponde del fosco Tamigi o in qualche trendy club di New York dovrebbe stare maggiormente attento a quel che succede nelle sterminate province dell’Impero Anglo-Americano dove può accadere che un oscuro magazzino di ferraglie, qualche scantinato, tra un’assemblea condominiale e l’altra, possa diventare uno straordinario calderone “fono-achemico” in cui forgiare intervalli sfrontati, armonizzazioni laceranti capaci di far vibrare i lobi dei più smaliziati fruitori musicali. È quanto è successo a un gruppetto di ragazzi italiani che, chiamato qualche amico suonatore di flauto, trombone, tromba, violoncello, ha scoperto come gli strumenti che abbiamo sempre sotto mano se pizzicati in un certo modo, toccati nel punto giusto, filtrati nella maniera adatta e combinati ad hoc, parlassero voci inconsuete. Aggiungi che i nostri piuttosto che Radio Deejay bazzicassero qualche frequenza libera ed ecco nato Entrée du port, lavoro dei FILOFOBIA.

Se il gruppo già dal nome si richiama ad una precisa scrittura musicale (Arab Strap), il disco è segnato da una grande varietà di referenti anche nostrani (l’album si chiude con un evocativo scrosciare di onde come Creuza de ma, la voce ricorda Manuel Agnelli, il gusto di un noise melodioso i Marlene Kuntz, in realtà ha molto della tradizione italiana.) che hanno il merito di delineare, piuttosto che appesantire, una chiara identità compositiva capace di prescindere dai modelli di cui sopra per connotarsi come autonoma. In realtà parlare dei Filofobia potrebbe risultare improbo vista la mancanza di letteratura in proposito (ma vedi questa pagina), considerando la particolarità della ricercatezza dei suoni che potrebbe richiamare esperienze musicali disparate, ma la freschezza, la solarità e la solidità dell’insieme può benissimo leggersi senza pescare influenza sotterranee ed esoteriche.

Certo "37 gradi" con i suoi arpeggi e l’orchestrazione angelica ricorda Jeff Buckley cantato dagli Afterhours (il testo vagamente non sense è stupendo) il dittico "Revo", "Intercity" con la sua critica alla modernità viaggiante è un miscuglio di sensazioni acustiche (con ingerenze elettroniche molto eleganti come i migliori Subsonica e schitarrate “soniche”) la lisergica "Non è successo niente" con tanto di percussioni e così via ma questa più che una recensione è la segnalazione di un disco da ascoltare e amare. E magari dopo ne riparliamo.

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