Di essere bella, è bella. Di essere dannata, è dannata. Una dannazione poco gentile, angelica sicuramente, fragile, fragilissima, una foglia d'autunno caduta, secca, le venature ben in vista, sfociano e si diramano sul pianoforte, si espandono nella voce, si impregnano di inchiostro. Quando si parla di Fiona Apple bisogna andarci cauti, perché è facile fare strafalcioni se non si conosce ciò di cui si sta parlando. Tutti ricordiamo il suo volto sugli schermi delle nostre tv durante gli MTV Music Awards nel ’97, con la sua invettiva cruda e rabbiosa contro l’ipocrisia del mondo. Se non lo si ricorda è perché semplicemente non si sapeva quale fosse il nome di quella ragazza giovanissima che aveva già ottenuto uno dei riconoscimenti musicali più importanti del mondo. Icona femminile degli anni 90, Fiona Apple è un autentico dipinto meraviglioso pieno di colori, figure astratte, linee discontinue e colori primari. Macchie di acquerelli che si dissolvono nei chiaro-scuri dell’esistenza. E poi un vortice di inquietudine, frasi spezzate, frasi d’amore travolte inesorabilmente da una grandissima voglia di riscatto rispetto a una situazione interiore travagliata, un riflesso dello specchio del pop femminile di fine anni '90 differente, che per lo più si presentava pieno di vocine e di tante canzoni ammiccanti, produzioni plasticose e tanto lavoro ancora da fare, collocate in un punto dell'universo non ancora ben definito tra country, blues, pop, spazio e licei americani. Se si collega la Apple semplicemente a ciò che disse agli MTV Awards, si rischia tuttavia un misunderstanding importante, in quanto dietro quel suo modo schietto di esprimere la sua personale rivolta contro il mondo un po' da mocciosetta dal bel faccino, si nasconde la poesia fragile di una delle artiste più potenti della nostra epoca. Le parole suonavano un po' così, alla Avril Lavigne:

"This world is bullshit, and you shouldn't model your life on what we think is cool, and what we're wearing and what we're saying”. A una rilettura più profonda è giusto pensare che la cosa più grande da riconoscere a Fiona, oltre al suo talento con la T maiuscola, è il coraggio di andare a fondo alle cose, sviscerarle, senza porre un filtro tra i sentimenti e quel foglio di carta. Fiona è tutta lì, non ci sono doppi fondi. Lei oltretutto non aveva assolutamente bisogno di esporsi così tanto, essendo già il grande talento che a soli 17 anni uscì con una canzone a sfondo sessuale (Criminal); negli anni Fiona ha dimostrato di essere tanto di più, avere veramente molto altro da dire, e nella sua ricerca non si è mai data tregua, distruggendo le speranze dei più di seguire quella necessità intrinseca di catalogarla, altrimenti sarebbero andati in crisi certa. Alla fine è la Apple a mandare tutti in crisi, e continua a farlo ancora oggi, con Fetch the bolt cutters, uscito lo scorso anno. Qui prendiamo in considerazione uno dei suoi album storici, il suo secondo, When the Pawn del 99: le 10 tracce fanno ancora grandi numeri, suono felpato, jazzato, vissuto, viscerale, vario, coinvolgente, incalzante, cadenzato. Lei è concreta e mette al bando tutte le idee che si erano fatti di lei i critici al tempo, anche se sicuramente è vero che lei stessa è che si incastra nei suoi pezzi, nei suoi testi contorti, nella sua stessa immagine da cui tenta costantemente di scappare fast as she can. Ci sono molte autodichiarazioni di pazzia nelle canzoni, come nei ritmi tribali di Fast as you can o in Paper Bag, pezzi dai bellissimi passaggi oltre che cornice di un mondo interiore caleidoscopio e variopinto in cui è facile perdersi. È una creatività maniacale quella che traspare da pezzi come To Your Love o The Way Things are, e abbiamo ballate d’amore strazianti come Love Ridden o nel finale con I know, inframezzate da il tripudio di rabbia e di energia di Get gone.

Il dolore, la sofferenza, la lotta contro se stessa e il suo istinto all’auto distruzione sono il fil rouge che lega tutte le opere della Apple, pezzi tosti da digerire, che non possono fare da sottofondo a una cena romantica nè a nessun'altra cosa in cui la musica non è al centro. Questa musica va vissuta e ascoltata, esattamente come fa lei quando tira fuori la sua voce graffiata, tremolante, profonda, voce che è protagonista, sfondo di niente e di nessuno, totalizzante. La sua capacità di unire blues, soul, pop, in chiave innovativa a livello compositiva senza precedenti la rende unica nel panorama del cantautorato al femminile, quello vero, quello che realizza e fonda una nuova identità artistica: quella di una donna che vive tremendamente, che sente le cose fino all'osso e che ha bisogno di sputarle fuori e di farlo anche bene, in un modo ricercato, sopraffino, magnetico e meraviglioso.

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