Pochi lo sanno, eppure Fiorella Mannoia esordì nel mondo della musica alla tenerissima età di 18 anni. Il disco, ormai completamente dimenticato, era "Mannoia Foresi & Co.". Nel frattempo divide il proprio tempo tra lavori saltuari e occasionali comparsate a Cinecittà (fu, per qualche tempo, la controfigura ufficiale di Monica Vitti). Recita persino in un western all'italiana di serie C, "E il terzo giorno arrivò il corvo".
Ritorna a incidere dischi nel 1982, ma questa volta è un pò più matura. 28 anni portati con eleganza: non è una bellezza divina, ma ha il suo fascino da eterna pischella. A volerla fortemente in una sua canzone è l'indimenticato Pierangelo Bertoli, e il brano è "Pescatore".
Il successo, improvvisamente, le si spalanca davanti: nel 1981 partecipa a Sanremo e canta "Caffè nero bollente" e subito cattura l'attenzione del pubblico meno svagato presente alla kermesse canora. Sono anni ferventi, Fiorella Mannoia incide una serie consistente di album in cui, sempre con grande fascino, alterna sicuri successi ("Come si cambia", "Sorvolando Eilat") a brani meno convincenti ("Momento delicato"). La grande occasione arriva nel 1987. Ormai veterana al Festival di Sanremo, si presenta baldanzosa sul palco dell'Ariston e canta "Quello che le donne non dicono". Il brano, scritto da Enrico Ruggeri, la proietta al numero uno in hit parade. È il grande momento, quello in cui è lecito osare e dove, con un pizzico di trasgressione, si può addirittura sermoneggiare.
Nel 1988 esce "Canzoni per parlare", il disco più intenso e meglio riuscito di tutta la carriera di Fiorella Mannoia. Oltre alla già citata "Quello che le donne non dicono" (per molti un inno, per altri una grande canzone), la Mannoia dà il meglio di sè interpretando "Le notti di maggio", toccante e meraviglioso brano scrittogli da Ivano Fossati. C'è tutta l'arte, e anche qualcosina in più, in questo sorprendente album d'alta classifica: c'è la voglia, e la grinta, da parte della Mannoia di sentirsi giustamente chiamare artista e non solo cantante, ci sono brani tristi e tesissimi (ma mai piagniucolosi) e ci sono musiche suggestive, testi eclettici, c'è insomma quell'aria apparentemente un po' consumata di canzonetta all'italiana, ma con un tocco di magia e delicatezza in più.
Ma c'è soprattutto la voce limpidissima e chiarissima di una Fiorella Mannoia evidentemente a proprio agio nel dover cantare strofe del tipo: "E dalle macchine per noi, i complimenti del playboy, ma non li sentiamo più se c'è chi non ce li fa più". La stessa tensione drammatica che ha contraddistinto, per parecchi anni, Mia Martini: due donne, in fondo, tanto simili quanto profondamente diverse.
"Canzoni per parlare" è, in certo qual senso, il capolavoro di Fiorella Mannoia. Oltre ai brani già menzionati, vanno ricordati almeno "Fino a fermarmi" (autore Ron), "I miei amici stanno al bar" e "La lettera che non scriverò mai" (autori, di entrambe, Enrico Ruggeri e Riccardo Cocciante). Il brano meno interessante, glielo scrive, curiosamente, il compagno, nonchè suo produttore, Piero Fabrizi, "Poverangelo" non convince e nemmeno affascina. Ma la Mannoia, almeno in questo lasso della propria carriera, è capace di convincere anche con un semplice vocalizzo, e non è un lusso che si possono permettere tutti.
Oggi, dopo un decennio (i Novanta) passati tra sciocchezzuole e brani armoniosissimi, è una vedette nell'asfissiante mondo dei live. Sempre in giro a far concerti, non incide più un disco originale dal 2001 (l'album era "Fragile"). Ha intavolato, nel 2002, un deludente tour artistico con alcuni vecchi amici (Ron, Pino Daniele e De Gregori) e ha messo in commercio, due anni fa, un doppio live in cui ricanta a modo proprio moltissimi brani di alcuni grandi (o presunti tali) artisti tra cui Manu Chao e Paolo Conte. Ma sentirla cantare "Metti in circolo il tuo amore" di Ligabue, onestamente, mette tristezza.
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