Conosciuto forse più per le sue collaborazioni con Current 93 e Sol Invictus che per il suo progetto solista Fire & Ice, Ian Read può essere considerato a tutti gli effetti la quarta colonna portante del folk apocalittico, assieme a Douglas P., David Tibet e Tony Wakeford.
Di tutti questi loschi figuri, di certo Ian Read è l'artista la cui musica è in senso stretto la meno apocalittica, più vicina semmai ad un folk canonico e tradizionale. Non troverete quindi in questo "Hollow Ways" (che, se non erro, dovrebbe essere il secondo full-lenght della band) molti dei cliché che ci si può aspettare dal genere, come i ben noti richiami bellici o i più o meno espliciti riferimenti destroidi (cosa, che di per sé, non implica che Read non sia di destra, anzi...).

Una musica che scansa sapientemente, almeno in questo frangente, ogni contaminazione elettronica, industriale e rumoristica, per rifugiarsi in una dimensione arcana e bucolica che affonda direttamente le proprie radici in miti e leggende del passato, in particolare in quelli ben noti e stra-abusati della cultura nord-europea. Un viaggio, questo, che assume i connotati di una attenta, meticolosa e quasi storiografica ricerca volta al recupero della saggezza e della ricchezza spirituale che si celano nei simboli e negli enigmi tramandatoci dal passato.
Alla presunta decadenza della società contemporanea, al vuoto dei valori, alla superficialità e alla stoltezza che la caratterizzano non si contrappone quindi un atteggiamento nichilista, distruttivo, di violenza e pessimistico rigetto, bensì una critica costruttiva, una posizione elitaria, se volete, uno sguardo che contempla dall'alto in basso l'odierno e si volge con fermezza e con nostalgia al passato, visto come rifugio ma anche come via attraverso la quale l'uomo, con costanza e dedizione, può ricongiungersi alla natura e a se stesso.

Se Tibet è un fragile, Wakeford un coraggioso, Pearce un disincantato, senz'altro la poetica di Ian Read si viene a caratterizzare per la compostezza, la fermezza, il rigore, l'orgoglio con cui convinzioni, idee e intenti sono portati avanti.

Da un punto di vista strettamente musicale, si sarà certo intuito che la proposta dei Fire & Ice si muove sulle già note coordinate di un folk acustico in stile Sol Invictus e Current 93, senza la visionarietà e le tinte fosche che caratterizzano questi progetti. I Current più bucolici sono di fatto il metro di paragone che meglio calza, impressione che viene continuamente confermata, almeno in questo disco, dal contributo di vari personaggi già incontrati in casa Tibet, come la dolce Julie Wood, alla voce, al violino ed al flauto, e il provvidenziale Michael Cashmore alla chitarra, qui davvero in stato di grazia (come sempre del resto: una vita, la sua, che sembra svolgersi esclusivamente all'insegna della nostra più grande goduria). Solo di tanto in tanto capita che il sound si venga a tingere di "apocalittico", con l'innesto sporadico di oscure synth ed effetti atmosferici che vanno a sporcare e contaminare gli strumenti tradizionali.

Il fermo e mai sguaiato canto di Read fa da attento contrappunto alle melodie tessute dagli strumenti: a tratti melodico, a tratti minimale, recitato o solamente sussurrato, riesce a mantenere per tutta la durata dell'album un alto tasso di ispirazione e sentimento, cosicché diviene doveroso e lecito perdonargli qualche stecca di troppo (e non sono poche, ve lo assicuro!).
Non è quindi un cantante impeccabile questo Ian Read (cos'avrà poi da tirarsela tanto, visto che a livello strettamente tecnico è davvero mediocre...), né, quella da lui allestita, è un'orchestra che riluce della magnificenza e della perfezione di quella dei cugini Current: sbavature ed imprecisioni si riversano copiosamente nei nostri padiglioni auricolari, tuttavia, alla fine della fiera questo aspetto viene a costituire una marcia in più per la band, conferendo fascino e spontaneità anche laddove il songwriting non si mantiene a livelli stellari.

La prima parte dell'album è qualcosa di sublime, veramente quanto di meglio il genere possa offrire. L'opener "Lord of Secrets" è per esempio un vero gioiello di raffinata e cristallina bellezza, in cui il canto evocativo e minimale di Read si sposa perfettamente con il prodigioso lavoro del sempre ottimo Cashmore e con gli originali inserti di flauto in stile medievale. La seguente "Militia Templi", è invece uno di quei pezzi per cui vale la pena ascoltare folk apocalittico, un brano dall'intensità unica che palesa il talento di un artista che sa davvero, quando vuole (e non sempre vuole) andare oltre. Più di un brivido, credetemi, correrà lungo la vostra schiena durante l'interminabile coda finale, in cui una chitarra in crescendo detta i tempi ai sussurri femminili e ai contrappunti oscuri ed evocativi di Read.
Con il terzo brano, "Seeker", si riprende fiato, ed è la voce arcana di Freya Aswynn (presente anche in "Swastikas for Goddy" dei Current 93, come a rimarcare la continuità dei due progetti), ad accompagnarci in una oscura invocazione.

Il bello dei Fire & Ice è certamente quello di saper costruire atmosfere estremamente suggestive con semplicità e senza ricorrere a plateali escamotage. Le seguenti "The Old Grey Widowmaker" e "Huldra's Maze" confermano quanto appena affermato, costituendo un perfetto esempio di quello che io definisco "folk cosmico": suggestive ed aeree ballate capaci di far decollare l'ascoltatore e farlo fluttuare, sospeso, in dimensioni altre. Merito, anche, del sottofondo atmosferico dei sinth e degli eterei contro-canti femminili.

Peccato che non tutto l'album si manterrà su questi livelli. Nella seconda metà di fatto si registra a mio parere un calo di intensità ed ispirazione, dovuto alla presenza, per lo più, di folk song tradizionali rivisitate, o comunque di brani che traggono forte ispirazione dalla cultura popolare. Via le atmosfere vagamente apocalittiche, e spazio quindi a brani come "The Rising of the Moon" e "Ershebeth" (cantata addirittura in tedesco), che francamente trovo sdolcinate e un po' imbarazzanti. Ma c'è il rischio che non vi troviate d'accordo con il sottoscritto, dato che sono, questi, brani che vengono via via riproposti dal vivo e che quindi godono di una certa considerazione da parte dell'artista stesso. Ci sta poi che a voi piaccia il folk tradizionale, ed allora vi potrete mettere il cuore in pace e gettarvi tranquilli nell'acquisto dell'album in questione.

Per quanto mi riguarda, una prima parte da cinque stelle ed una seconda da tre, che insieme vanno a comporre non certo un capolavoro (secondo me Ian Read non ha mai scritto un vero capolavoro, piuttosto bellissime song la cui bellezza però viene regolarmente ed irrimediabilmente smorzata da episodi meno ispirati), ma certamente un lavoro degno del massimo rispetto, e che costituisce il passaggio ideale per penetrare nel mondo incantato ed antico dei Fire & Ice (insieme, naturalmente, all'imperdibile esordio "Guilded by the Light" e al più recente "Runa", a mio parere gli articoli più interessanti che offre ad oggi la casa).

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