Intervista col Dr. John Holmes sulla c.d. "sindrome del metallaro"

DeB: Buongiorno Dr. Holmes, come andiamo?

JH: Non c'è male, se solo non fosse per quel paziente svedese che crede di essere diventato il salvatore del rock... ma non parliamo di lui, penso di aver già speso abbastanza parole sul suo caso.

DeB: Già, parliamo della sindrome del metallaro, cosa ci può dire a riguardo?

JH: Bene, cominciamo col dire che non è una semplice sindrome, è una vera e propria malattia, di origine batterica per giunta. Ricordo che i primi casi risalgono agli anni 90: all'epoca i miei pazienti furono proprio due svedesi, Nicke Andersson e Michael Amott. Entrambi curati, per Dio, anche se con risultati non del tutto convincenti.

DeB: Di cosa si tratta esattamente?

JH: Vede, il batterio infetta il paziente, solitamente un musicista attivo nel campo del death metal, sicché, da un giorno all'altro, lo stesso paziente cambia drasticamente: se prima era solito suonare pesantissimo e iperdistorto, adesso si da ad un rock retrò; se prima parlava di morte ed autopsie, adesso parla del flower power e del blues; se prima vestiva tutto nero, adesso rispolvera i bell-bottoms e le magliette tie-dye. È uno sconvolgimento in piena regola.

DeB: C'è una qualche sistematicità nel diffondersi della malattia?

JH: Sì e no. Fortunatamente i casi sono piuttosto limitati, ma le incidenze si registrano perlopiù in Svezia e nel Regno Unito.

DeB: Regno Unito?

JH: Bè, è naturale, dopotutto Tony Iommi fa ancora scuola. Le dice niente il nome Lee Dorrian?

DeB: Certo, il doomster più bello, nonché più psichedelico. Ora che ci penso, anche lui proviene da fasti metallici coi Napalm Death, nei quali c'era anche...

JH: ...Bill Steer.

DeB: Esatto! Anche lui è un suo paziente?

JH: Eccome, quello non riuscirò mai a recuperarlo.

DeB: Cioè?

JH: Il suo è un caso emblematico: è uno degli inventori del grindcore, ha fondato i Carcass (mica cazzi!), poi, dopo Swansong, sparito.

DeB: E poi?

JH: È rispuntato nel nuovo millennio, ha messo su un power trio, i Firebird, e se ne sono usciti con un trittico di album così così, un miscuglio hard blues all'inglese. Fin qui niente di speciale, lo stavo già tenendo d'occhio da un pezzo ed ero convinto che la cosa si sarebbe risolta da sé, e invece sa cosa mi combina nel 2006? Pubblica Hot Wings, davvero un bel disco. Ormai era incontrollabile e, come se non bastasse, tre anni più tardi sforna un altro disco...

DeB: Quale sarebbe il titolo?

JH: Grand Union. Un gran bell'album, anche meglio del precedente.

DeB: Scommetto che questo album è l'effetto di quella patologia.

JH: Esattamente. Vi ricordate gli indimenticabili riff di Corporal Jigsore Quandary e Incarnated Solvent Abuse? Bene, dimenticateli! Steer è diventato un bluesman, un bluesman che parla di fiamme blu e di sconosciuti taciturni, passando per giovanotti chiamati Jack e strade solitarie, senza farsi mancare cover di JT e Humble Pie, reinterpretate con destrezza assoluta.

DeB: Tutto ciò è lodevole, però, così facendo, tutta la sua perizia tecnica andrà a farsi benedire, no? Voglio dire, alle prese col blues...

JH: E invece no! Per quanto il blues sia un genere statico e non offra un grande sfoggio di tecnica, il chitarrismo di Steer non è affatto deteriorato, anzi, il suo tocco c'è. Sicuro, è cambiato, ma non ha perso un briciolo dell'abilità che aveva. E le dirò di più: l'approccio più semplice non pregiudica la qualità di queste canzoni: io l'ho visto dal vivo, l'energia che sprigiona è incontenibile e coinvolgerebbe chiunque.

DeB: E mi dica Dottore, Steer canta anche?

JH: Sì. È malato a tal punto che non vuole più grugnire come ai tempi di Exhume to Consume. Il ragazzo non ha una voce da nero, e non raggiunge nemmeno le vette di Steve Winwood, però è sorprendente sentirlo tirare fuori la voce a quel modo. Non pensavo fosse possibile.

DeB: Mai dire mai...

JH: Già...

DeB: Per quale etichetta è uscito il disco? Certamente non una major.

JH: Infatti, è stato pubblicato dalla Rise Above di quel matto di Lee Dorrian.

DeB: Sempre lui!

JH: Eh sì, un altro fulminato sulla via di Damasco. Adesso è una sorta di santone che ospita, sotto la sua ala protettrice, bands che han fatto del rifferama anni 70 il loro marchio di fabbrica: Electric Wizard, Orange Goblin, i Firebird di Steer, gli stessi Cathedral...

DeB: Molto interessante, purtroppo il tempo sta per scadere e mi rimangono le ultime domande: le piace il disco? Lo consiglierebbe a qualcuno o potrebbe essere contagioso?

JH: Devo risponderle da dottore o da ascoltatore?

DeB: Meglio da ascoltatore.

JH: A questo punto... lo ammetto: il disco mi piace un casino, e non posso che consigliarlo a chiunque ami quelle sonorità e/o sia passato per i gruppi che ho menzionato prima, Carcass compresi. Non avete più quindici anni ragazzi, buttate via le vostre magliette medal e tutti i ciddì che mamma e papà non possono sopportare, andate a comprarvi un po' di vinili classici e vestite zampa di elefante. Non ve ne pentirete.

DeB: Dottore, credo stia andando un po' fuori tema... la ringrazio per l'intervista concessa.

JH: Grazie a voi.

DeB: C'è qualcosa che vorrebbe aggiungere?

JH: Sì, visto che siamo in questo periodo... buon Natale a tutti i lettori di DeBaser, il sito più fiko dell'internet!

Carico i commenti...  con calma