Lo ammetto: sono stato un power metaller innamorato di Rhapsody, Blind Guardian, Stratovarius e via di questo passo. Il mio primo approccio "metallico" è arrivato con i mondi fantastici evocati da queste band, con quei refrain da cantare a squarciagola, tutti felicità e testi Shannara style. Poi con il passare degli anni, questo genere si è andato a farsi benedire, sia dal sottoscritto che dalla maggior parte degli aficionados del metal in generale. Troppo ripetitivo e privo di soluzioni, troppo bambinesco e allo stesso tempo super abusato da una moltitudine impazzita di band clone di altri cloni.

Eppure nonostante quest'allontanamento dal genere, questa vera e propria "repulsione", ogni tanto sento il bisogno di tornare all'attracco che mi ha lanciato verso i primi mari del metal. Ecco perchè ho deciso di ascoltare l'ultimo lavoro (2010) dei greci Firewind, unitamente a due altri fattori fondamentali: la voce del singer Apollo Papathanasio (sentito e apprezzato con gli Spiritual Beggars) e i giudizi largamente positivi raccolti da "The premonition", il cd precedente.

C'erano insomma tutte le carte in regola per aspettarsi un lavoro almeno degno della fama del suo predecessore. Invece fin dall'esplosione dell'iniziale "The ark of lies" si comprende che la carne al fuoco è la stessa che si cerca da masticare da ormai più di 20 anni. Tastiere fin troppo in prima linea, batteria "a elicottero" e solita atmosfera del power più insulso e cavalcato degli ultimi tempi. Tutte le buone intenzioni cadono, annientate dall'estremo stridore del "già sentito". La band greca non mostra nulla di nuovo sotto il sole e basta la "biondina" del video di "World on fire" per capire lo stato attuale dei Firewind: sono finite le idee, ora si torna a fare la stessa musica di sempre. Si salvano "Chariot", "Broken" e la strumentale "SKG", così come piacevole risulta la conclusiva "When all is said and done". Ciò non basta a garantire la sopravvivenza ad un album fin troppo "costruito" e uguale a se stesso: dispiace, anche perchè la band dimostra un buon affiatamento e delle buone doti tecniche.

Dopo aver ascoltato Days of defiance e aver compreso che anche una band ancora non malvoluta come i Firewind abbia fallito, sono ormai giunto alla conclusione che è il power in se che non propone più nulla di nuovo. Non riesce più ad attrarre perchè fossilizzato sempre sulle stesse coordinate, incapace di dare alla luce band interessanti, mentre quando ci sono vengono soffocate dalla moltitudine delle realtà di questo genere, che sebbene non riesca più a convogliare consensi, continua a sfornare gruppi in quantità industriali.

1. "The Ark Of Lies" (4:44)
2. "World On Fire" (4:38)
3. "Chariot" (4:38)
4. "Embrace The Sun" (4:05)
5. "The Departure" (0:44)
6. "Heading For The Dawn" (4:00)
7. "Broken" (3:24)
8. "Cold As Ice" (4:34)
9. "Kill In The Name Of Love" (4:27)
10. "SKG" (5:19)
11. "Losing Faith" (4:11)
12. "The Yearning" (4:53)
13. "When All Is Said And Done" (5:06)

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