But will you still be there for me

Now I’m yours to obtain

Now my fruits are for taking

And your fingers are stained

Da “Holy Terrain”

Questo si chiede FKA Twigs, nome d’arte di Tahliah Debrett Barnett, ragazza di origini etiopi, ma nata e cresciuta a Londra. Si chiede se dopo essersi concessa (fisicamente e mentalmente), verrà ancora desiderata. Questo é un quesito legittimo per la donna Tahliah, la domanda invece non si pone per l’artista FKA Twigs. Una volta che la comprendi, non ne puoi più fare a meno.Siamo di fronte ad un’artista misteriosa e sfaccettata, che in fondo ti lascia sempre un dubbio su ciò sta ascoltando. La si potrebbe definire alternative-pop? O solo alternative? O R’n’b, come l’hanno definita i critici solo dopo aver scoperto che dietro quella faccia ammaccata di LP1 si nascondeva una ragazza di colore? Ma perché cercare definizioni per un’artista così complessa e unica nel panorama musicale attuale.

Per me con “Magdalene” FKA Twigs ha fatto il passo verso la maturità artistica e va a inserirsi direttamente tra le cose più interessanti dei giorni nostri. Questo é un lavoro relativamente breve, ma che ti fa venire la voglia di riascoltarlo per carpire, con ogni nuovo ascolto, le differenti sfumature delle sue oscure composizioni. L’album parte con “Thousand Eyes” che sembra un’introduzione/preghiera e da l’inizio all’intero progetto con il sapore amaro di una relazione che sta per terminare (“If I walk out the door it starts our last goodbye” é il verso iniziale dell’album”). Quasi come a partire dalla fine, dal momento in cui tutto cambia, in cui si perde la stabilità per poi analizzare, nel corso dei pezzi successivi, come si é arrivati a quel punto. Man mano che si va avanti con le canzoni, l’atmosfera si mantiene dark, femminea e delicata (ascoltatevi “Home with you”, un inno strambo alla complessità degli esseri umani e all’impossibilità di aiutarsi a vicenda, anche quando se ne ha la volontà). Quando nel mezzo del cammino di Magdalene arriva “Holy Terrain”, il pezzo forse più mainstream e danzereccio, tiriamo, soprattutto durante i primi ascolti, un sospiro di sollievo perché per pochi minuti usciamo dall’intensità delle tracce di questa “Fallen alien” (altro pezzo fantastico) e possiamo fare una gradevole pausa. Ma appena terminata la traccia, si riparte per arrivare, dopo altre riuscitissime composizioni (“Mirrored heart” é di una dolcezza che non può lasciare indifferenti) al capolinea con “Cellophane”, il primo e straziante singolo di questo album. Una ruvida ballata che ricorda vagamente le atmosfere della migliore Amos.

Menzione a parte merita quella che per me é il fulcro dell’album, “Mary Magdalene”, un inno femminista, che dopo una breve introduzione strumentale orientaleggiante, parte di sola voce, elemento che FKA Twigs usa sempre in maniera molto innovativa e come un vero é proprio strumento. Il brano é dedicato alla donna considerata come l’emblema della dipendenza dagli uomini (prostituta, alla mercé degli uomini/ salvata da Gesù, un altro uomo). E forse pure FKA Twigs non vuole essere considerata come (l’ormai ex) fidanzata di Robert Pattinson, relazione che ha preceduto la sua arte nel mainstream (“A woman’s work// A woman’s prerogative// A woman’s time to embrace// she must put herself first”). Insomma, la cantante inglese ha voluto mettere le cose in chiaro e lo ha fatto con un pezzo fortissimo.

La musica, come sempre nel caso di FKA, sembra provenire da un futuro lontano, da un mondo che deve ancora (av)venire, con un connubio di elettronica, melodie accattivanti e beat interessanti. Rispetto a LP1 peró, vi sono le emozioni al centro, la musica é scelta in base a loro (mentre LP1 mi é sembre sembrato un disco più “estetico”, passatemi il termine).

Insomma, FKA Twigs continua a mostrarci il suo mondo a modo suo. Un mo(n)do che non somiglia a nessun’altro.

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