Esistesse un Campionato del Mondo dei "Perdenti del Rock", giocato da tutti quelli che hanno profuso alla causa sentimento, energia, passione e tecnica in quantità senza peraltro ottenere dal "campo" alcun tipo di riscontro ("zzeeero tituli", direbbe oggi qualcuno), il mio tifo sfegatato andrebbe certamente ad una Nazionale di San Francisco di nome Flamin' Groovies. E sarebbe un tifo ben riposto, perché questi "mediani dai piedi buoni" - un po' Romeo Benetti, un po' Arie Haan, cinque stelle a chi li ricorda -, nel corso di una carriera ultra ventennale, comprendente anche varie filiazioni di eguale merito artistico e scontato insuccesso al botteghino, avrebbero certamente portato a casa almeno un paio tra Coppe Rimet e FIFA.
Davvero, mi riesce difficile pensare ad un combo che, più dei Groovies, si possa definire il gruppo giusto nel posto sbagliato. Non basta. Sempre e soltanto nel momento sbagliato. Loro a declinare senza cedimenti purissimo rock e il mondo sempre ad ignorarli ascoltando, a seconda dei momenti, dell'altro. Fateci caso. Fallimento n.1: da principio, sul finire dei Sessanta, questi cinque sciamannati hanno il cuore diviso a metà tra il rock'n'roll delle origini - Carl Perkins e Link Wray - e l'energico beat dei gruppi della British Invasion - primi Beatles, Yardbirds, Them, Pretty Things e Kinks. Peccato che nella natia Frisco ed in tutta la Baia, quella sia l'ora dei caleidoscopici e fumiganti trip dei vari Jefferson, Quicksilver e Dead. Scorrimento veloce. Fallimento n.2: quando il suono vira ("Teenage Head", soprattutto) verso drive rollingstoniani belli carichi, inframmezzato da ballate languidamente innervate di slide, piano e armonica che paiono estratte di peso da "Beggar's banquet", siamo anche qui fuori tempo massimo, con la gioventù che si sta genuflettendo all'hard-rock zeppelin-sabbathiano o sta per genuflettersi ai belletti della stagione glam.
E veniamo all'ultimo, fallimento n.3: ci riprovano nel bel mezzo dei Settanta, dopo aver inanellato quell'altro paio di perle sotto forma di singolo che fan tracciare all'ufficio vendite della casa discografica i consueti grafici prossimi allo zero. Con una nuova formazione, nella quale il ruolo di capitani è indiscutibilmente appannaggio dei fondatori Cyril Jordan e George Alexander, emigrano in terra d'Albione per mettere mano dopo cinque anni ad una nuova prova sulla distanza lunga. Sotto la supervisione di quella vecchia volpe di Dave Edmunds (devo averlo già sentito nominare costui, da queste parti...), se ne escono in piena era punk (1976) con un altro atto d'amore verso il rock'n'roll. E come poteva andare a finire?
Proprio per essere una volta di più in controtendenza, "Shake some action" è manifesto di un power pop-rock talmente lindo che profuma di bucato appena fatto, riallacciando così un legame profondo con i Byrds di "Younger Than Yesterday". Rubando l'andatura in jingle-jangle delle chitarre a McGuinn e la perfezione delle armonie vocali sia a McGuinn e soci che a Lovin' Spoonful e Beau Brummels, i Nostri consegnano a quei pochi che prestarono orecchi l'ennesimo disco fuori dal tempo e dalle mode. Come sentirsi up-to-date ascoltando gli intrecci byrdsiani-via-Big Star della title-track o della conclusiva "I can't hide", o le delicatessen beatlesiane in derivazione di "You Tore Me Down" e "Please Please Girl", quando non quelle rivisitate direttamente dal song-book di Lennon-McCartney ("Misery")? Come far breccia nella generazione no future, quando si allineano dolci ballate da far dondolare allegramente il caschetto come in "Sometimes", "Yes It's True", "I'll Cry Alone" o "Teenage Confidential"? Se poi ci mettete pure la vecchia passonaccia per il blues rocchenrollistico dei fifties ("St. Louis blues") o rocchenrollistico tout-court ("Let the boy rock'n'roll"), il gioco è fatto. Zzeeero tituli...
"L'arte e la musica non solo vanno fatte ma vanno anche recepite per quello che sono, senza secondi fini. Solo così c'è divertimento. I soldi, il successo, la carriera sono tutta un'altra storia e, per quel che mi riguarda, non mi interessano. Se mi fossero interessati i soldi, mi sarei dedicato a computers e cose simili ed avrei mollato da tempo il rock'n'roll" - intervista a Cyril Jordan, 1987.
Perdenti si nasce e loro, modestamente, lo nacquero.
Ma si può non volere bene a dei tipi così?
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