Vero e proprio oggetto di culto, Flavio Giurato ci appare oggi come un 'soggetto cantante non identificato'. Si narra che ebbe un bagliore di notorietà nei primi anni 80 dopo la pubblicazione dell'ottimo 'Il Tuffatore' del quale furono trasmessi alcuni video in Rai all'interno della gloriosa trasmissione Mister fantasy. Poi, nel 1984, l'album 'Marco Polo' decisamente sperimentale e meravigliosamente ostico, sancì la fine della sua ascesa (complici anche anni durissimi per la musica di casa nostra) e l'inizio dell'oblio. Si narra altresì che il nostro non abbia mai smesso di suonare e di comporre nuovi pezzi. Col nuovo millennio riappare e dopo un mini lp e un live si ripresenta nel 2007 con un lavoro che riprende il titolo e rielabora i pezzi (aggiungendone altri) del lavoro di cinque anni prima: 'Il manuale del cantautore'. Che dire? A mio parere siamo di fornte a uno dei migliori dischi 'cantautorali' del decennio, probabilmente l'unico lavoro attuale di un autore della 'seconda generazione' (che cioè ha cominciato a pubblicare dischi verso la fine dei '70) ad essere di altissimo livello da ogni punto di vista: costruzione musicale, interpretazione, testi.

Sono canzoni affascinanti che si ascoltano e riascoltano alla ricerca di una comprensione che lentamente si rivela, musiche trascinanti e mai banali, melodie che diventano indimenticabili e continui cambiamenti di ritmo. Dodici pezzi che racchiudono idee per almeno trenta e si pongono come pietra angolare per chi oggi voglia prosegure la gloriosa tradizione italica del cantare le proprie parole.

Da ascoltare, naturalmente, tutto: fin da subito spiccano 'Il caso Nesta' bizzarro incrocio di maghi, numeri del lotto e calcio da tv privata, la splendida cavalcata di 'Centocelle' cronaca di una fuga impossibile, 'La Giulia Bianca' struggente rievocazione dei tempi della rivolta con una dedica speciale a Pier Paolo Pasolini, ma anche 'Silvia Baraldini' quasi un ispirato risvolto 'intimista' della nota ballata di Guccini, 'Praga' che racconta un'esperienza giovanile dell'autore che ebbe la ventura di assistere di persona (si trovava lì con la nazionale giovanile italiana di baseball) all'invasione sovietica del 1968, la lunga e misteriosa 'Mi Lang' che lentamente dipana una sofferta storia d'amore che ricerca una impossibile serenità tra i flash e gli inseguimenti dei paparazzi e la conclusiva 'I Dinosauri', altra cavalcata di oltre otto minuti ambientata nella Roma del Giubileo del 2000.

 I testi, bellissimi, riescono a raccontare storie senza risultare didascalici, unendo immagini evocative a cruda realtà e approcciando la materia narrata sempre da un punto di vista obliquo e originale,  la voce di Giurato, potente e matura, riempie di significati ogni singola parola, ogni reiterata ripetizione. Ma ciò che colpisce di più e che si precisa solo dopo alcuni ascolti è la particolare costruzione musicale dei pezzi. Giurato riesce ad accostare l'una all'altra differenti 'parti melodiche' apparentemente sganciate fra loro che si rincorrono asimmetricamente lungo le canzoni donando loro una struttura ellittica e sempre inaspettata. Melodie che ritornano con variazioni a volte minime a volte più sensibili nel testo, nell'arrangiamento e nella vis interpretativa. L'esempio più mirabile di questa tecnica lo ritroviamo a mio parere in 'Mi- Lang' ma è presente in quasi tutti i pezzi.

Insomma: indiscutibilmente, per chi ama il genere, da cinque stelle. 

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