Scrivo questa recensione prima di tutto per me stesso e dopo di tutto per far conoscere un po' di Blues a chi non ha avuto ancora il piacere.

Il Blues. È più che "la radice della musica popolare moderna". Ne è l'utero. Il Blues è ciò che più si avvicina all'istinto primordiale ed incomprensibile che spinge l'animale uomo a produrre musica, o solo a battere il piede a ritmo.
Tre accordi, zero fronzoli.

Molti studiosi musicali (vedi anche il documentario "Feel Like Going Home" di Scorsese) lo fanno risalire ai canti tribali africani. Esatto, gli stessi africani deportati in America a partire dal 1500. Tre accordi, 12 battute e via. Uno schema che permette anche a due contadini musicalmente illetterati di improvvisare una jam session in veranda, la sera, mentre le donne anziane aiutano la moglie di Jim a partorire e gli altri hanno appena finito di riempire i sacchi di cotone. E capita anche che un 21enne studente-lavoratore romano si sieda in camera sua con lo slide al dito e suoni più o meno quelle stesse canzoni, ricavandone un piacere raro.
Sto divagando, come al solito, torniamo ai Fleetwood Mac. Quelli di Peter Green, s'intende. Degli altri non so praticamente nulla. - Mi stappo un'altra birra -. Faccio fatica ad esprimere quello che questa musica provoca dentro di me...
È più grande di me, è come se Dio imbracciasse la chitarra e dicesse: "Ok, adesso stai zitto e ascolta".
1800 caratteri non bastano di sicuro.
Posso dirvi comunque che "Rattle Snake Shake" è una canzone da trance. È potente. Appassionata.
"Black Magic Woman" è Black Magic Woman. "Oh Well" ha un riff che Tom Morello si sta cagando addosso. "Jumping At Shadows" è struggente, sincera e disarmante. "Red Hot Mama" è piena di vita. "Man Of The World" è un po' patetica, ma se leggete la biografia di Peter Green forse capirete perché.

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