1993: Dave King, dublinese trapiantato a Los Angeles con un passato da frontman heavy/hair metal nei Fastway dell’ex Motorhead Eddie Clarke ha l’occasione della vita: un contratto discografico con la Epic Records: King è intenzionato a dare una svolta al suo percorso artistico e proporre nuove sonorità coniugando il suo retaggio hard/heavy con la fiorente tradizione folk punk della natia Irlanda: il progetto, in parte già collaudato dai Pogues, è senza dubbio interessante ma la major, dimostrando una formidabile miopia e mancanza di attributi, non lo prende nemmeno in considerazione.
Sostanzialmente è proprio da questo rifiuto che nascono i Flogging Molly: Dave King non è tipo da demordere facilmente e, insieme alla futura moglie Bridget Regan e altri sconosciuti strumentisti ricomincia da un pub di Los Angeles, il Molly’s Malone appunto, riuscendo dopo alcuni anni ad ottenere un contratto con la SideOneDummy Records: considerando il loro status di indipendenti e le tendenze di un mercato discografico orientato verso tutt’altri tipi di sonorità, i Flogging Molly riscuotono un successo notevole, riuscendo a raggiungere posizioni altolocate anche in classifiche mainstream come la Billboard Top 200; e ascoltando album come questo “Within A Mile Of Home” del 2004 ci si rende conto delle abnormi proporzioni della cantonata che presero i capoccia della Epic.
“Within A Mile Of Home” è il classico album che da solo vale un greatest hits: fiddle, flauti, banjo e mandolino si integrano alla perfezione con le chitarre elettriche dando origine a roboanti inni celtic punk, l’allegra e ironica “Screaming At The Wailing Wall”, il crescendo incalzante di “To Youth (My Sweet Roisin Dubh)”, inserita nella colonna sonora di Fifa 2005 e la sgangherata “Tomorrow Comes A Day Too Soon”, con la sua bellissima intro acustica “The Wrong Company”, oltre a travolgenti danze piratesche come “Seven Deadly Sins”, “Queen Anne’s Revenge” e la più articolata “Tobacco Island”, ed epici anthems da concerto, “Within A Mile Of Home” e “Light Of A Fading Star”, in cui Dave King si esalta dimostrando il suo antico retaggio con prestazioni canore che per timbro e stile ricordano quasi il miglior Ronnie James Dio, ma questo album non è solo energia e immediatezza, il ritmo rallenta spesso e volentieri in ballate come “Factory Girl”, agrodolce e semiacustica, dall’atmosfera vagamente retrò e il brano più irish del disco, la maestosa e dolente “Whistles The Wind”, fino alla chiusura che non ti aspetti, “Don’t Let Me Die Still Wondering”, magistrale power ballad dedicata a Johnny Cash, sostenuta dal fiddle di Bridget Regan e da un formidabile Dave King, che suggella in grande stile un album praticamente perfetto; energico e orecchiabile ma senza ruffianerie, facile e immediato ma resistente alla prova del tempo, derivativo, certo, forse anche già sentito e sicuramente debitore ai Pogues, ma non per questo privo di una propria identità: in altre parole un gran disco: vero, sincero, vibrante, che riesce sempre a regalare emozioni.
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