Sono passati due anni da quando la meravigliosa voce di Florence Welch si è sentita rieccheggiare per la prima volta tra le oniriche foreste del suo album di debutto, quello splendido "Lungs" che si impose prepotentemente all’attenzione della critica mondiale. In questo lasso di tempo, l’attesa per molti si era fatta viscerale. Il suo primo lavoro era una sintesi perfetta di generi, un meccanismo ad orologeria davanti al quale si finiva per rimanere incantati nonostante le sue piccole imperfezioni, e quindi la possibile evoluzione musicale alla quale la rossa canatutrice doveva andare incontro era un’incognita matematica alla quale nessuno sapeva dare la giusta equazione.
Le correnti che la volevano sperimentatrice ardita e quelle che invece la pretendevano conservatrice e coerente quanto necessario per dare una continuazione al suo album di debutto, si scontravano alla pari. Ascoltando questo "Cerimonials" alla fine, il miscuglio di sensazioni che le note e i tessuti musicali ti fanno percorrere sotto l’epidermide lasciano che la risposta che ti si pari dinanzi sia più vicina alla seconda di queste possibili realtà, nonostante siano state bandite quasi del tutto le atmofere gioiose e sognanti che caratterizzavano i primi due singoli apripista del precedente lavoro, la folgorante “The Dogs Days Are Over” e la fascinosa e sensuale “Rabbit Heart (Raise it Your Up)” .
"Ceremonials" infatti è la summa suprema di tutta quella corrente più cupa e dark che era presente in maniera leggermente edulcorata in "Lungs", e che qui trova una strada meno impervia attraverso cui esprimersi, complice la struttura fortemente orchestrale alle base di ogni singola traccia. Se Florence prima ci immergeva prevalentemente in ariose atmosfere indie-rock più o meno celate tra sospiri di correnti musicali diverse, qui è l’intreccio degli archi e degli organi a farla da padrone insieme alle atmosfere spesso gotiche, solenni, mistiche e malinconiche. E se piccole influenze made in Kate Bush risuonavano già precedentemente, ora risultano omaggi voluti e perfettamente coerenti con la direzione verso la quale sembra muoversi l’intera produzione di questa talentuosa ragazza, che in ultimo non si risparmia nemmeno sporadicamente di strizzare leggermente l’occhio verso Il Folletto d’Islanda.
Esempio perfetto di queste considerazioni a caldo è “No light, No light”, perla indiscussa dell’album e finora ultimo singolo estratto, brano di supplica disperata che mi crea dinanzi il magnifico spettacolo delle onde che si infrangono contro le pareti rocciose di strapiombi, in notti di tempesta vicino a boschi incantati. Ma ci sono anche le spettrali e inquietanti note di “Seven Devils”, litania dai cori gotici che trasporta verso templi profani in quale assistere a sacri riti pagani, la crepuscolare “Never Let me Go”, l’avvolgente soul di “Lover to Lover” e i piccoli sprazzi rock di “What The Water Gave Me” o l’incedere dei tamburi nell’ottima “Heartlines”. Perfino il singolo apripista “ Shake it Out”, pur avvicinandosi in maniera maggiore rispetto agli altri brani al passato appena trascorso, se ne discosta fortemente per la malinconia che traspare dal timbro della Rossa. A muovere comunque i fili di questo lavoro assolutamente pregevole vi è infatti sempre la splendida voce della venticinquenne Florence, che danza in punta di piedi su qualsiasi base le si presenti, eclettica, sensuale e potente, pizzicando dolcemente le corde emozionali dell’ascoltatore nella stessa incisiva maniera in cui vengono stimolate quelle delle arpe che risuonano tra i quadri sonori di questo piccolo gioiellino, che para dinanzi alla fanciulla composizioni decisamente più articolate e complesse da affrontare rispetto al passato, sia per pathos che per tecnica e che tendono a fiorire in picchi di epicità davanti al quale l’unica reazione possibile è il lasciarsi avvolgere.
E se a livello musicale la maturazione stilistica è assolutamente evidente nonostante la quasi totale assenza di ardite sperimentazioni, sul fronte delle liriche ci si trova a confrontarsi con versi decisamente più adulti e complessi rispetto a quelli già ampiamente apprezzati in Lungs, con continui rimandi all’acqua e al suo misterioso mistico significato, alla morte, alla rinascita e al dolore. Un dolore che pervade questo piccolo capolavoro come un gelido vento in notti di tempesta ….un vento impetuoso che risuona degli echi del sofferto e ammaliante canto di Florence..
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