Per chi ha amato l'album omonimo del 2002 i Fluxus di “Non esistere” (loro secondo lavoro) sono un'altra band. Del resto, dopo l'ottimo esordio con “Vita in un pacifico nuovo mondo”, li troviamo qui ancora fortemente ancorati alle loro pesanti radici hardcore e noise, lontani da quella svolta che avrà in parte inizio col seguente capolavoro “Pura lana vergine”.


“Non esistere” è stato registrato in soli dodici giorni (secondo prassi punk) negli studi di Cascina (Pisa) con il contributo di gente come Roberto “Tax” Farano alla chitarra e Marco Mathieu al basso, alfieri della scena hardcore punk torinese e italiana tutta, che hanno conferito al disco una maggiore pesantezza rispetto all'esordio. Senza contare il contributo in fase di registrazione e produzione di Iain Burgess, guru inglese famoso per aver lasciato impresso il suo marchio di fabbrica su molti dischi della scena post-punk di Chicago tra gli anni '80 e '90, lavorando con band come Ministry, Cows e Didjits.


Se la musica del gruppo è un pugno nello stomaco (ancor di più nei live che al tempo esaltarono l'attitudine hc dei Fluxus ed impressionarono non pochi astanti) i testi, che qui si spartiscono i due leader Franz Goria (voce) e Luca Pastore (basso), non sono da meno.


C'è ovviamente molta protesta sociale e politica, fortemente radicata nelle band di quella scena, con testi che però, a volte, sono ancora un po' criptici o concisi (“Luce acida”), senza quella forza espressiva che raggiungeranno ampiamente nel disco seguente.


Quelle vette vengono qui solo sfiorate nell'iniziale “Veldt”, dalla struttura che verrà ripresa e migliorata in “Latte”, faro accecante del successivo “Pura lana vergine” e dalla title-track “Non esistere”, un ritmato treno dall'impronta rock and roll (ma sempre hc) e pezzo migliore dell'album, contagioso nel suo gridare in faccia “...non riesco a non esistere!”.


Per il resto tanta furia e cattiveria in schegge hardcore di protesta (“Immagine di un cane enorme”, “851”) che raggiunge il parossismo con la feroce “Sono fuori di qui”, la cosa più greve che potrete trovare nel disco.

Mentre qualche parziale variazione sul tema risiede nella straniante e martellante “Noi galleggiamo nel vuoto”, pronta ad avvolgere se stessa in una spirale ipnotica che ha effetto anche su chi ascolta.


Un disco di transizione musicale che farà (e avrà fatto) sicuramente felici i fan del genere, ma che non rappresenta ancora, come già detto, la band all'apice dell'ispirazione.

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