Non è semplice recensire un disco come questo. Le ragioni sono tante, ma la principale che le racchiude tutte forse può essere il disorientamento.
Quest’album ha un’atmosfera particolare, permeata di mistero e attraversata da un senso d’inquietudine costante. Le voci suonano distanti ed inumane in quasi tutti i pezzi. I riverberi synth e i delay delle chitarre concretizzano l’inafferrabilità delle composizioni, spesso ridondanti, al limite della sopportazione in alcuni casi.
Non è facile descrivere queste canzoni, non lo è stato neanche ascoltarle, bisogna prestare particolare attenzione a “Total Life Forever”, è un album distante dalla commercialità che suona impersonale e distaccato.
Posso dire che la più forte tra le impressioni che lascia è quella di avere la sensazione di ascoltarlo da sott’acqua (notare la copertina…).
I Foals un paio d’anni fa hanno fatto ben parlare di sé dopo l’uscita del più che discreto esordio “Antidotes”, contraddistinto da un punk-rock moderno e ballabile. Ma chi avrebbe scommesso mezzo penny sulla carriera di questi cinque ragazzi di Oxford? I più (compreso il sottoscritto) avrebbero firmato ad occhi chiusi per un altro paio di dischi anonimi, sempre meno ispirati, sulla scia dell’esordio.
Invece i Foals si sono rivelati una crisalide, sbocciata in una farfalla d’altri pianeti in questo secondo album. Un esempio da seguire per tante band che non sanno che pesci prendere una volta vistisi puntare addosso i riflettori.
In questo senso è stato propedeutico per la band il ritiro in Svezia per registrare questo secondo lavoro, lontano da tutto e tutti.
“Blue Blood”, brano d’apertura, per il primo minuto ci fa credere d’aver sbagliato disco e aver messo su quello dei Fleet Foxes (principalmente per l’intonazione del cantato), salvo poi trasformarsi in una nervosa ballata pop, impreziosita dai sapienti tocchi di chitarre.
“Miami”, pezzo che segue, pare uscito da un album dei Cure. “Total Life Forever” è un energico black funky-soul con un piano che richiama nuovamente i Cure. “Black Gold” è forse l’emblema dell’inafferrabilità del disco: inizialmente disco anni 70’, ha un ritornello da Sting, e un finale a là Interpol.
Brani come “This Orient” e “2 Trees” mostrano palesemente l’eredità di band quali Doves e Elbow, peraltro riscontrabile un po’ diffusamente all’interno di questo lavoro.
“After Glow” è il brano più bello. La sua doppia struttura sembra farci ascoltare un dialogo musicale, il basso ipnotizzante e gli echi dei cori ci catapultano in un sogno dai contorni sbiaditi. La seconda metà in cui si trasforma in rock frenetico non è purtroppo all’altezza della prima.
“Alabaster” invece, è un esempio d’eccesso di arrangiamenti dovuta alla voglia di strafare del gruppo. Il finale è addirittura rovinato, si riesce solo a percepire del rumore indistinto.
"Total Life Forever" è un bel disco che necessita di vari ascolti, va addomesticato dalle nostre orecchie come fosse un purosangue imbizzarrito di cui non avevamo il controllo delle redini.
Nell’elemento fluido, nella sua inconsistenza cristallina, mutevole e mai statica, nei suoi bagliori fugaci, i Foals sembrano aver trovato la propria dimensione. Lontano dal mare della banalità hanno costruito una piscina fatta di musicalità autentica e di ricerca sonora. Ben vengano allora album così imperscrutabili, in tempi in cui tutto sembra dato per scontato.
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