I Focus possono essere considerati i capostipiti della scena prog olandese, gruppo nato sul finire degli anni '60 e principalmente basato sulle due personalità esuberanti (e tecnicamente notevolissime) del chitarrista Jan Akkerman e, soprattutto, del "flautista-organista-vocalist-front man-pazzo urlante" Thijs Van Leer.
Dopo una decina scarsa di anni e sei album contraddistinti da alcuni cambi di formazione negli "slot" di basso e batteria e da successi altalenanti (ma alcuni singoli come la yodelizzante "Hocus Pocus" e la strumentale "House of the King" riuscirono a sfondare sul mercato britannico e addirittura in Usa), nel '78 il sogno s'infranse, Van Leer e Akkerman si separarono ed iniziarono a coltivare carriere soliste con discreta fortuna.
De profundis per una (grande) band? Tutt'altro. Sarà l'età, sarà la nostalgia o chissà cosa altro, tant'è che, all'alba del nuovo millennio, il buon vecchio Thijs (è nato nel 1946) decise di provare l'impresa di riesumare un cadavere che giaceva nella sua urna da quasi un quarto di secolo. Nel 2002, dunque, l'ex leader riformò il progetto Focus, progetto in realtà molto più simile a una tribute-band: Akkerman si guardò bene dall'abbandonare il jazz e reindossare i panni del rocker, Van Leer si consolò con un gruppo di musicisti già perfettamente avvezzi allo stile Focus in quanto, appunto, membri di un gruppo di coveristi denominato Hocus Pocus. Ma non per questo l'operazione nostalgia va bocciata, anzi.
Dico subito che, se avessi ascoltato questo disco senza conoscerne la data di uscita, considerandolo una continuazione dei magici tempi di Moving Waves, III o Hamburger Concerto, le 5 stelle non gliele avrebbe tolte nessuno. Visto oggi, con il disincanto del vecchio babbione che tenta di non vivere di soli ricordi, mi vedo costretto a togliere qualcosa al giudizio a causa della scarsissima originalità del prodotto, che suona assolutamente come se il tempo negli ultimi 30 e passa anni si fosse fermato. Unica concessione ai tempi moderni, la migliore qualità dei suoni. Anche così, comunque, questo "8" è un gran bel disco, contiene tutti intatti ed esuberanti gli elementi che fecero dei Focus una delle migliori band del prog europeo. Il mio giudizio espresso in centesimi sarebbe intorno al 90.
Undici brani per quasi un'ora di musica quasi esclusivamente strumentale, con l'eccezione delle spruzzatine di yodel che Van Leer getta qua e là con la solita folle classe, atmosfere ora maestosamente sinfoniche ora hard-prog con una punta di jazz, il disco è dominato dal flauto di Van Leer (a mio modesto avviso un vero gigante dello strumento) e dalla chitarra dell'ottimo Jan Dumée, sicuramente molto "clone" di Akkerman ma tecnicamente inattaccabile. I punti più alti forse "Focus 8", un chiaro riferimento al passato (praticamente in tutti gli album della band è presente almeno un brano con questo titolo) e la dirompente "Brother", partenza con organo che sfocia in un meraviglioso assolo di chitarra molto "liquida" e poi in un duello a ritmi altissimi con il flauto di Thijs Van Leer, qui abbastanza simile ai suoni janandersoniani. Non mancano i momenti ironici e divertenti, come la conclusiva "Flower Shower", dominata dalla voce stralunata di Thijs.
In conclusione, un disco eccellente, che ha sicuramente un unico "padre" (Thijs deus ex machina Van Leer) e alla cui origine c'è sicuramente un intento commerciale che non gli toglie comunque valore. Va detto che, dopo la pubblicazione di questo album, il progetto Focus è andato avanti e tuttora il gruppo (che nel 2006, con il ritorno dello storico batterista Pierre Van der Linden, ha pubblicato un altro bel lavoro, "9 - New Skin") è vivo e vegeto, protagonista di interminabili tour in patria e in Nord Europa e, chissà, potrebbe riservarci nuove sorprese. Applausi Vanleeriani
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