Da bravo recensore, dopo aver ascoltato varie volte un disco, prima di iniziare a scrivere qualsiasi commento, mi faccio un giretto su internet per documentarmi un po' e cercare qualche notizia che potrebbe interessare chi avrà voglia di leggere i miei scritti. La storia di come è nato questo album è senz'altro curiosa e merita di essere raccontata. I Focus, storico gruppo olandese autore negli anni '70 di alcuni album veramente straordinari, non hanno certo bisogno di presentazioni ma va detto che il via alla realizzazione di questo "come back album" non lo ha dato nessuno dei membri originari in quanto tutto è partito da una loro cover band, gli Hocus Pocus. Questo gruppo, comprendente Jan DUMEE alla chitarra, Bobby JACOBS al basso e Ruben Van ROON alla batteria (quest'ultimo sarebbe stato in seguito rimpiazzato da Bert SMAAK), mette su il suo bel repertorio di classici del Focus e decide coraggiosamente (probabilmente più per scherzo che perché ci sperassero più di tanto) di invitare lo storico membro, il flautista Thijs Van LEER, per una jam session. Quest'ultimo, che evidentemente non se la tira come tanti artisti di casa nostra, accetta volentieri l'idea di passare un piacevole pomeriggio musicale (a proposito della spocchiosità dei musicisti nostrani è recente il racconto di un mio amico fotografo, tra l'altro bravissimo e le cui foto sono su parecchi CD dei Porcupine Tree, che si è sentito dire da Francesco Renga "non mi fotografare, non vorrei mi rovinassi l'immagine"). La jam session con gli Hocus Pocus rivela al buon Van Leer una signora band costituita da musicisti preparatissimi e che, soprattutto, mostrano una sincera devozione nel cercare di ricreare e rivivere lo spirito originario dei Focus. Il suo entusiasmo è tale che decide di riformare la storica band proprio con l'inatteso ausilio di questi giovani musicisti-fan. Il risultato è questo album, intitolato 8, che andiamo subito ad analizzare.

Si parte subito con un tuffo nel passato grazie all'opener "Rock & Rio" pezzo rock-bluseggiante caratterizzato da uno yodel e da una scanzonata vena umoristica che non possono non far tornare alla mente il classico "Hocus Pocus" da "Moving Waves". Già da questo inizio si capisce che Van Leer è in gran spolvero e che ci aspetta un album ricco di sorprese. Il pezzo successivo, "Tamara's Move", da modo a Van Leer di mettersi apparentemente in mostra con una serie di evoluzioni al flauto su una base folkeggiante dominata dalla chitarra acustica, mentre nella successiva "Fretless Love" sono gli intrecci di flauto e tastiere che con il grazioso guitar work di Dumee. Dopo la graziosa "Hurkey Turkey", anch'essa di certo non troppo seriosa, arriviamo a "De Ti O De Mi" (ma che sono un gruppo veneto?) dove lo spettro di Akkerman prende il sopravvento in quanto si tratta di un brano completamente dominato dalla chitarra di Dumee che ha modo di mettersi in mostra con aperture melodiche alternate a pezzi di bravura che non ci fanno per nulla rimpiangere il grande chitarrista della formazione originaria. Anche la successiva title track vede la chitarra grande protagonista in melodici dialoghi con le tastiere mentre "Sto Ces Raditi Ostatac Zivota?", scritta da Dumee, presenta un feeling leggermente jazzato che ricorda alcune cose del Pat Metheney Group (grazie anche ad alcuni vocalizzi "in stile"). "Neurotika" è nuovamente un pezzo condito con una certa ironia e, come "Rock & Rio" vede ancora parti di yodel molto divertenti che si alternano a sezioni strumentali veramente belle mentre in "Brother" tappeti di organo accompagnano una melodia struggente eseguita dalla chitarra elettrica anche se poi il "solito" flauto di Van Leer arricchisce e rende più vario il tutto. Arriviamo infine alla fine del disco prima con "Blizu Tebe", altro pezzo scritto da Dumee e caratterizzato da una chitarra che intesse melodie "straziacore", ed infine con "Flower Shower" altro pezzo caratterizzato da un cantato burlesco e ricco di "sense of humor" a dimostrare che nel progressive ci si può anche non prendere troppo sul serio.

Che dire in conclusione? Di certo non possiamo parlare di capolavoro ma sicuramente si tratta di un album che non sfigura se paragonato ai classici del gruppo e che accontenterà i fan. Se i Genesis producessero mai un album di questo livello qualitativo salteremmo di certo tutti sulle sedie pronti a esultare per l'avvenuto miracolo. Così probabilmente non sarà mai per cui accontentiamoci dei Focus e godiamoci questo loro nuovo album.

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