Gruppo singolare quello dei Focus, a parte il fatto di provenire dall'Olanda. Il cantante (ovvero l'esimio organista, pianista e flautista Thjis Van Leer) non... cantava quasi mai!. In quest'album, della durata di settanta minuti e che pertanto fu pubblicato a suo tempo in ellepì doppio, egli va al microfono solo in una occasione, vale a dire nel brano di apertura "Round Goes The Gossip", le cui liriche sono d'altronde e per buona parte prese da un passo dell'Eneide di Virgilio! In sovrappiù, le voci sono tenute molto basse nel missaggio... magari Van Leer aveva seri problemi con l'inglese, chissà.
Questo quartetto così anomalo riuscì incredibilmente ad attraversare una stagione di grandissimo successo commerciale (biennio 1972/73, più o meno), pur eseguendo come già detto musica praticamente strumentale, a cavallo fra rock, progressive e fusion. Al di là della notevole perizia tecnica (tutta gente uscita dal conservatorio di Amsterdam), il merito si deve alla capacità di realizzare singoli (uno per album, non di più) di forte impatto melodico e pertanto di meritato successo.
Nel disco d'esordio "In And Out Of Focus" tale prerogativa fu appannaggio di "House Of The King" un compatto, grintoso ed accattivante tema al flauto su ritmica rock, reso in tutto e per tutto nello stile dei Jethro Tull tanto che, sia allora che ancor oggi, qualunque ascoltatore non ben informato non può far altro che attribuirlo a Jan Anderson e soci.
Nel successivo, secondo album "Moving Waves" la parte del leone se la prese tutt'altro genere di brano: "Hocus Pocus" è un trascinante atto di forza guidato da un potente riff hard rock della virtuosa chitarra di Jan Akkerman, sul quale Van Leer aggiunge, alla maniera dei rondò della musica classica, tutta una serie di variazioni eseguite al flauto, all'organo, alla chitarra, soprattutto alla voce, alle prese alternativamente con yodel bavaresi(!) nonchè versi non-sense e smorfie varie. Non una parola di testo, per carità, ma la resa generale è quanto di più trascinante: ogni giro di chitarra si interrompe in un break di batteria, che poi impone uno stop sul quale si avventano le goliardiche improvvisazioni del pirotecnico Van Leer: un classico, unico nel suo genere, una commistione hard-rock/stravaganza assolutamente da conoscere.
Il brano di punta e di successo commerciale di "Focus III" (ovviamente il terzo di carriera, l'anno è il 1972) si intitola invece "Sylvia": trattasi di un delizioso strumentale (e dai...) articolato alla maniera barocca, con un tema eseguito dall'organo (e dal basso), attraversato da un contrappunto di chitarra solista di limpidissima ispirazione. Il celebrato Akkerman prima stacca mirabili accordi funkeggianti e poi parte in quarta con un canto iper melodico e ricco, ogni tanto infiorettato da velocissimi svolazzi. L'organo Hammond di Van Leer, gonfio e superbamente aggressivo, è una vera goduria per i padiglioni auricolari dell'appassionato di rock anni settanta.
Da quest'ultimo punto di vista, tutto il disco riesce a trasmettere questa piacevolezza d'antan, quella di una banda ripresa in studio mentre suonano tutti insieme, con gli strumenti ben microfonati e dai timbri molto naturali e autentici, senza soverchie sovraincisioni, persino coi piccoli errori e le sbavature di intonazione lasciati lì senza problemi, rispettando l'impatto e il groove dell'insieme.
Al di là di questa virtù, l'opera soffre però di scarsa consistenza compositiva. Buona parte di essa è infatti costituita da due lunghissimi brani che non sono altro che jam session in studio. "Answers..." e " Anonymus II" partono di buona lena con un tema che poi, alla maniera jazz, si evolve in chilometrici assoli a turno di tutti gli strumentisti, infine ricomponendosi per la chiusa finale: una situazione senz'altro piacevole in concerto... ma beccarsi sette minuti di assolo del basso di Bert Ruiter e poco dopo altri cinque dei tamburi e piatti di Pierre Van Der Linden comodamente seduti in casa o nella propria auto è assai dispersivo. Il disco sarebbe dopotutto potuto uscire in forma di singolo, senza queste due lunghe autoindulgenze, incrementando in quanto a compattezza e consistenza.
Nessuno degli altri brani però, pur tutti piacevoli, riesce ad elevarsi all'eccellenza di "Sylvia".
La già citata "Round Goes The Gossip" è fra i più riusciti comunque: uno spigliato tema tra il progressive e la fusion, in odore di Gentle Giant. "Love Remembered" consiste invece in un duetto flauto/chitarra classica, rinforzato dalla sezione ritmica solo verso la fine. "Carnival Fugue" si apre con Van Leer al pianoforte a coda che cita senza pudori Bach, poi vi è una progressiva e curiosa evoluzione verso il Calypso pilotata dalla chitarra di Akkerman, al quale si aggiunge il gioioso canto dell'ottavino.
Il brano che intitola l'album è una nenia in minore accennata dalla chitarra con il volume in assolvenza, che poi passa in maggiore e prende vita nei ritornelli, con un canto della Gibson di Akkerman che a quel punto corre molto vicino allo stile di Carlos Santana. "Elspeth Of Nottingham" infine è un saggio di chitarra classica che mostra appieno il sublime tocco da concertista del nostro sulle corde di nylon, appoggiato dal solito flauto nella creazione di un'atmosfera squisitamente elisabettiana.
Da sentire, se si è cultori del rock anni settanta.
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