Dave Grohl ha definito il nuovo, nono album in studio dei suoi Foo Fighters, come i “Motorhead che rifanno Sgt. Pepper”.
Per quanto la definizione sia calzante o meno (ed indubbiamente, se il riferimento è a certe armonie melodiche intrecciate con un fine gusto per i riff di chitarra decisi, lo è) c’è da iniziare a farsi qualche domandina sul fenomeno Foo Fighters. Una band associata ad un genere di musica che sta lentamente ed inesorabilmente sparendo dalle chart di tutto il mondo, non solo non mostra segni di cedimento, ma gode di un consenso commerciale sempre crescente.
E la musica? La musica c’è, anche quella. Posto che Grohl e compagni non sono certo degli innovatori sonori (tutt’altro), se si entra nell’ottica del godersi una mezz’ora abbondante di ottimo rock da fm, qua c’è davvero tanta carne al fuoco, e anche buona.
E’ già da premiare il coraggio di presentare il disco con un singolo ostico come “Run”, bellissimo pezzo che, dopo una falsa partenza da ballad sognante, si lancia in un coacervo di riff che passano con nonchalance dall’alt rock al metal, il tutto a sostegno di una prova vocale rabbiosa di Grohl. Stessa struttura, condensata però in un minuto e poco più, dell’intro “T-Shirt”, che dopo un inizio mellifluo e sommesso (che ricorda tanto quel piccolo gioello che era “Doll”) piazza una schitarrata alla Queen e porta il pezzo da tutt’altra parte, interrompendolo bruscamente per poi confluire nel singolo succitato.
“Make It Right”, con la curiosa partecipazione di Justin Timberlake ai cori, è il pezzo che più rientra nella definizione data da Grohl del disco, e convince. Il secondo singolo “The Sky Is A Neighborhood” non è eccelso melodicamente e forse l’interpretazione vocale del frontman è troppo urlata, ma si lascia ascoltare. Mentre l’altra collaborazione pesante, ossia Sir Paul McCartney alla batteria, è per “Sunday Rain”, bellissimo pezzo interpretato dal batterista Taylor Hawkins, sempre più a suo agio come “secondo frontman” della band.
Altrove troviamo una “La Dee Da” vitale, abrasiva e diretta, in perfetto stile Queens Of The Stone Age prima maniera (soprattutto la parte di basso) e una “Dirty Water” che parte sommessa e melodica (come certi pezzi di “There Is Nothing Left To Lose”, ad esempio “Ain’t It The Life”) per poi crescere ed esplodere in un finale elettrico e battente. Non male anche “Arrows”, uno dei brani tipicamente fightersiani dell’opera.
“Happy Ever After (Zero Hour)” è il vero gioiello dell’album, un numero quieto e beatlesiano che sembra uscito da un disco di fine sessanta. Notevole anche la crescita nel songwriting di Grohl, sempre più eclettico e meno scontato, ed ottima la produzione di Greg Kurstin (membro dei The Bird And The Bee, già al lavoro con Adele e Liam Gallagher).
Chiudono “The Line”, traccia promozionale che suona come dei primi Coldplay vitaminizzati e rinvigoriti, e la chiusura tra quiete e tempesta della titletrack.
“Concrete And Gold” è in definitiva un ottimo disco, ulteriore conferma della crescita e della maturazione dei Foo Fighters come band.
Traccia migliore: “Happy Ever After (Zero Hour)”
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