Il secondo capitolo dei glaciali Forest Stream si apre sulle dolci e lontane effusioni musicali dell'intro "Feral magic", il tramite tra ciò che fu ("Tears of mortal solitude") e ciò che è. "The crown of winter", se possibile, risulta ancora più sprezzante nei suoi toni grigi rispetto al debutto della band russa. Il gruppo, a cui si sono aggiunti Kir alla batteria e Moloch al basso, spingono con decisione il piede sull'accelleratore e confezionano un album in parte diverso dal capolavoro TOMS.

Dopo sei anni in cui si erano perse le tracce, eccoli ritornare nel 2009 con un'altro lavoro pesantemente influenzato dalle loro terra natia, quella Russia che si riflette nei repentini cambi di tempo di "The beautiful nature", in cui emergono ancora una volta tastiere ed atmosfere sepolcrali. Fino a quì dunque nulla di nuovo sotto il sole, ma il cambiamento (a mio modo di ascoltare negativo) lo si avverte prima di arrivare alla song sù citata. Prima però c'è la splendida fusione del black più sinfonico di matrice Opeth e Katatonia, che trova il suo suggello nella strabiliante poliedricità della titletrack, apice dell'album e della carriera dei russi. L'inizio di "The crown of winter" fa ben sperare quindi, non fosse che le tracce che ci troviamo di fronte in seguito risultano "soltanto" un collage dei pezzi contenuti in Tears of mortal solitude ma con la preponderanza del growl e dello scream. I momenti intimisti, che avevano fatto la fortuna nel primo lavoro, si aprono il loro spazio a fatica. "Bless you to die" è l'emblema di quanto detto, sette minuti di accellerazioni di matrice black che poco hanno a che fare con la band. Questa come la successiva "Autumn dancers" hanno il sapore dell'incompiuto e i momenti più ragionati sembrano quasi doversi trovare lì come prosecuzione dell'album precedente. Un concetto difficilmente esprimibile a parole, ma che si comprende già al primo ascolto e incide in maniera pesante e negativa sull'intero lavoro.

La sensazione è che il gruppo si sia forse adagiato un po' troppo sugli allori proponendo un sound, che naturalmente si avvicina a quanto fatto in passato, eppure non appare "digeribile". Tornando a "The beautiful nature" sebbene rappresenti forse la traccia più sperimentale del plot, risulta difficile comprendere il suo inizio, come se volesse dilatare il minutaggio della canzone. Per questo motivo e per una innegabile "caduta" del pathos che si respirava nel primo disco, The crown of winter non convince del tutto, nonostante resti inconfondibile l'attitudine della band e il suo complesso songwriting.

Sarà stato il cambio della label (questo cd è curato dalla Candlelight), sarà forse per un riciclaggio di idee un po' troppo forzato, ma resta il fatto che questo secondo capitolo della band russa perde nettamente il confronto con il primo. Altro elemento di distinzione ma che gioca ancora una volta a sfavore di The crown of winter è la quasi totale mancanza di passaggi doom. Un passo indietro rispetto agli inizi ed è riascoltando le dolenti note del sublime Tears of mortal solitude, che si aspetta la loro nuova fatica discografica, sperando che sia migliore di codesto lavoro.

Voto 3 meno.

1. "Feral Magic" (2:19)
2. "The Crown Of Winter" (11:44)
3. "Mired" (9:27)
4. "Bless You To Die" (7:38)
5. "Autumn Dancers" (8:40)
6. "The Seventh Symphony Of Satan" (9:05)
7. "The Beautiful Nature" (9:24)
8. "My Awakening Dreamland" (1:38)

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