Andreas Ritter è colui che ha suonato la fisarmonica per Douglas P. in "All Pigs Must Die", e a questo probabilmente dobbiamo la notorietà dei suoi Forseti. Successo, beninteso, stra-meritato dato che i Forseti, assieme ai connazionali Orplid e Sonne Hagal, sono la punta di diamante dell'odierna scena neo-folk teutonica. Non si pensi però ad un folk apocalittico in senso stretto, ma piuttosto ad un folk classico che con la scena dark condivide non altro che gli umori uggiosi e lo sguardo introspettivo.
"Erde", del 2004, è il secondo full-lengh dei Forseti: acclamato a viva voce un po' da tutti gli addetti ai lavori, pur non trattandosi di alcunché di sensazionale, è davvero un buon lavoro. Un lavoro che senz'altro farà la felicità degli amanti del folk nordico, nella sua forma più mitica ed atavica: rigorosamente cantato in tedesco, pervaso da atmosfere malinconiche e fantastiche, costituisce il perfetto incontro fra lo spleen decadente di un intimo cantautorato e i voli pindarici di un folk, vivace ed al contempo struggente, che va a dipingere scenari ancestrali, danze propiziatorie, la malinconia di un paesaggio invernale.
Andreas Ritter, polistrumentista di tutto rispetto, se la cava piuttosto bene dietro a chitarre, fisarmoniche e percussioni. Un po' meno al canto, senz'altro ispirato, ma un po' monocorde. Ad aiutarlo, amici e conoscenti chiamati a prestare il proprio talento, chi il violino, chi il violoncello, chi il flauto, chi la voce. Da segnalare senz'altro la presenza di Uwe Nolte (dei già citati Orplid) e Kim Larsen (direttamente dagli Of the Wand and the Moon). Il nome di maggiore spicco è però quello di Ian Read (Fire + Ice), altra gloria del folk apocalittico che, dopo il cameo di Douglas P. nel debutto "Windzeit", rinnova la tradizione dei guest di lusso chiamati a sfilare in casa Forseti. Proprio il folk pagano dei Fire + Ice è il riferimento più prossimo per comprendere la musica dei Forseti, e non è infatti un caso che il brano cantato da Read, "Empfindsamkeit", sia fra i più belli di tutto l'album.
Album che si divide fra ballate evocanti autunni ed inverni di epoche lontane ed incalzanti cavalcate che tradiscono un certo amore per un folk più paesano e festaiolo. Perché contrariamente alla musica degli altri menestrelli della Fine, la musica dei Forseti non è una macabra escursione pregna di oscuri presagi e volta a ricondurre il proprio disagio all'universo intero. La musica dei Forseti è in un certo senso neutrale, neutrale come le cieche forze della Natura, e di Essa va a cogliere la bellezza, la malinconia, la poesia.
La musica dei Forseti, animata da un sincero amore pagano per la Natura, è in realtà una regressione ad un'epoca felice in cui l'uomo viveva in piena simbiosi con la stessa, che grazie a questa musica torna a far parte di noi, anzi noi torniamo ad appartenere a Lei, specchio della nostra anima. Una musica che aspira ad un annullamento panico entro la vastità del paesaggio, nello spirito dei luoghi amati, negli umori di un tempo ormai perduto.
Una piacevole conferma, questo "Erde", che ci consegna un artista ispirato e maturo, capace di muoversi con disinvoltura, fantasia, classe, negli ambiti ristretti che il genere impone. Ma anche un passo avanti rispetto a "Windzeit": finalmente emancipato dal folk apocalittico nella sua forma più grigia e monolitica, Ritter finisce per confezionare undici gioielli che vanno a palesare una maggiore maturità compositiva ed una innegabile crescita artistica. Le composizioni, meglio strutturate ed arrangiate che in passato, scorrono semplici ma dinamiche, ricche di sfumature ed impreziosite dal contributo dei vari ospiti.
Come non citare, per esempio, il coinvolgente brano di apertura "Korn", brano vivace ed incalzante, in cui violino e violoncello si intrecciano in melodie da brivido, riprese poi dal flauto, mentre la voce di Ritter volteggia all'unisono con quella di Sabine Frost (e proprio l'introduzione di voci femminili va a costituire una delle principali novità di questo album). Seguono perle di eleganza, di umile e raffinata semplicità, dove sono la chitarra e la fisarmonica di Ritter ad indicarci la via: la pacata rivisitazione di "Eismahd", pescata direttamente dal repertorio degli amici Sonne Hagal; la vigorosa "Lichterflug", impreziosita dal canto di Melanie Kohler; la potente "Erdennacht", incalzata dal grattugiare irrequieto del violoncello e dalle percussioni a mano; le malinconiche evoluzioni acustiche di "Dunkelheit", ascoltando la quale parrà di passeggiare sul manto scuro di dense nuvole che minacciano burrasca.
L'intero album è un susseguirsi di visioni, sensazioni, fragranze: la resina dei pini, l'odore delle cortecce, il fresco della rugiada sulla pelle. "Erde" è in grado di abbracciare l'enormità di paesaggi interi, i segreti di selve oscure in cui smarrirsi, la profondità di specchi d'acqua in cui ritrovarsi. Ma anche maestosi tramonti, nebbie oniriche, spiragli di luce rosata su uno sfondo dalle fosche tinte: perché il segreto di Ritter è forse quello di aver trovato il sentiero invisibile che conduce dall'Anima alla Natura. O viceversa.
"Sterne", cantata da un oscuro Kim Larsen, interrompe per un attimo lo sfavillare degli elementi, riconducendoci al sound monolitico dei suoi Of Wand and the Moon, e quasi ci pare di sentire i Death in June. Saranno la fisarmonica festante e le percussioni di "Der Graue Konig" a riportarci alle folli danze fra Uomo e Natura. Si giunge così all'incredibile trittico finale: "Schmerzen" è un altro struggente duetto con Melanie Kohler che riporta l'album ad una dimensione intima ed introspettiva. "Muder Wander", invece, è animata dal suggestivo canto di Uwe Nolte, ed anch'essa si candida fra i momenti più belli di questo "Erde". Ma quello che probabilmente è il vero apice dell'opera è il brano di chiusura "Das Abendland", epica cavalcata che non potrà che commuoverci nell'irresistibile crescendo finale, quando i nostri corpi saranno incalzati dai tamburelli a mano, quando le nostre menti saranno trascinate dallo splendido assolo di violino, quando i nostri cuori saranno trasportati dai cori odinici che soffiano come i venti freddi del nord.
"Erde": per quelli che dopo l'inverno vorrebbero un altro autunno, e poi un inverno e poi un autunno ancora...
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