La malinconia ha un legame profondo con la riflessione e gli specchi. Forse nasce nel punto in cui lo sguardo s'incontra nello specchio, quella trappola di cristallo.

E io, Andromaca, penso a Voi, a quel ruscello sottile, povero e triste specchio, ove splendette un tempo la gran maestà del vostro dolore, quel pianto per la scomparsa di Ettore.

Vic è il nostro Artista.

E passeggiava solitario per le vie di Parigi.

Le stigmate nel cuore della malinconia di un esiliato, bianco e candido come un cigno, ma con le sue piume sempre più impolverate di quella modernità.

In tutta la grandeur parisienne è strano sentirsi chiusi e stretti in quel vicolo, tra decadenza ed esilio, impotenti di fronte allo scempio dei signori della modernità.

Ed è in quel battito possente di ali, da quel tremolio della terra dove lentamente dalle ceneri si vedeva ricostituire quel Pantheon, da quello sguardo forte e proteso verso il Cielo, che inizia la vita ed il senso dell’Artista, era giunta l’ora di dichiarare guerra allo scempio che avanzava con la forza della poetica, dell’arte, della musica.

Sète Francia del Sud ; XXI secolo.

Siamo tutti innamorati della malinconia, la ricerchiamo in tutte le forme, inseguiamo tutto quello che è diurno ed altezzoso, quello che potrebbe renderci anche felici, ma al calar del sole spuntano inesorabili come gardenie sempre tutte quelle verità nascoste, quelle germinazioni di pensieri notturni bramati di silenzio. Le feste paesane sono anche una grande occasione per mettersi in mostra, per esibire il vestito nuovo e lucido, quel luccichio sfuggente e contraltare delle catacombe cavernose dove si consuma la maggior parte delle umane esistenze. Il concerto del paese a Sète era stato organizzato nell’Arene, quel vecchio anfiteatro greco che a volte sembra stare sospeso sulla sabbia, sullo stesso livello dei gabbiani in amore. Partecipavano gruppi di tutte le età e di di tutti i generi, negli ultimi anni come genere prevaleva il rap e l’Hip Hop, la passata edizione era stata vinta da una giovane artista che aveva provato a rappare Edith Piaf. Tutto questo potrebbe sembrare normale, l’estate, una bella località della Francia, una manifestazione canora, una sana competizione in quanto chi l’avrebbe vinta avrebbe beneficiato di un contratto discografico e di un passaggio a Canal Plus.

Ma a Vic non interessava quella normalità, quella terra incolta di simulacri del sentimento, vegetazione passiva di quel blando sentimentalismo che fu provinciale ed ora digitale, dove a terra non si scarica autentica gioia o reale disprezzo, ma si è burattini imbucati da mani scaltre e paffute, tra infantilismo di massa ed identità da nascondino, specchio deformante di quel ricco cromatismo delle umane emozioni e percezioni, alla mercé del Polemista Calvo e del Progressista clownista di turno. Vic si prese tutto il tempo necessario per partecipare alla manifestazione, partì verso le mezzanotte, nello zaino la fidele drum machine, nella valigia stava un po' accartocciata Giselle, seguiva il trio Bizet, il suo pastore tedesco. Quello strano trio non dava l’impressione di accelerare il passo per arrivare in tempo, anzi a metà del tragitto decisero di fermarsi a bere qualcosa al chiosco di Pierre. All’arrivo i nostri erano solo lievemente brilli e naturalmente, come ci si poteva immaginare, non erano minimamente sorpresi che la gara fosse già terminata da un pezzo. La luna poi dopo la mezzanotte brillava come una cometa sopra l’Arene, non restava che pian piano montare la strumentazione, impostare sul sequencer i campioni scelti la sera prima e, infine risvegliare Giselle. Gli ingredienti c’erano tutti a quel punto per una grandissima performance; l’assenza di anime tracotanti, una luna siderea, lo sguardo piacione di Bizet sul palco, quella malinconia che ora trovava la giusta pressione per uscire da quel vaso di Pandora ed illuminare di bellezza il Pantheon. E così fu, infatti, uno spettacolo per amatori ferventi ed anche assenti, per amanti di lussurie, di calma e di saggezza, quei ricercatori di silenzi e misteri che l’Ade li avrebbe sicuramente arruolati come corrieri funebri, se non fosse per quell'innato piglio libertino. E tra i cigolii del synth si sente all’improvviso un soffio, ma questo è caldo e umano e non gelido elettronico, Vic ha aperto la sua valigia e sta gonfiando Giselle, che pian piano sta prendendo la sua formosa materialità; il fiato pare ad un certo punto mancare ma basterà, in fondo è solo una bambola alta 1,85 cm. E tra quella malinconia tra quelle mura greche sulla spiaggia c’è anche tempo per ballare con Giselle il valzer electro di Shapes of Moon; sentire quel corpo vibrare in quell’impasto di note, osservare quel volto e quegli occhi cristallizzati in quel pianto prematuro che mai si realizzerà, volteggiare sotto le stelle nell’arena in quella danza solitaria e mesmerica.

E poi quella canzone, Rêves Éphémères, che apre con una melodia sognante sfuggita ad un varietà degli anni 30, con Vic che lentamente tesse quella magica ouverture, quell’inno alla libertà, quella Marsillaise cantata da chi va controcorrente, svuotata di ogni dogma, di ogni colore, colmata solo dalle pulsazioni di quel cuore che batte forte per quelle strade di Parigi, come quello dell’Ettore omerico, che consapevole del suo destino alza il figlioletto al cielo ed in quell’elevazione sacra illumina un’intera civiltà che stenta a ritrovare i propri passi in quel paesaggio lunare cosparso di assenze.




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